
2. L’esame sulla Speranza

Nel canto XXV prosegue l’esame teologico subentrando S. Giacomo, che esamina Dante sulla speranza. Nelle prime terzine il poeta esprime il desiderio di tornare a Firenze grazie al “poema sacro”, da lui definito a suo tempo “la mia comedìa” (Inferno XVI,128; XXI,2). Questa iniziale scelta si trasforma ora in “poema sacro”. La motivazione risiede nella umiltà, perché la grandezza si raggiunge così come dimostra Maria (XXXIII,2) e il re Davide:“umile salmista” (Purgatorio X,55-69). L’Apostolo Giacomo specifica il senso del viaggio dantesco ribadendo il modello paolino (Paradiso XXV,40-45): Vedere il Paradiso per confortare gli uomini con la speranza.
Giacomo pone quindi la domanda: “dì quel ch’ell’è, dì come se ne ‘nfiora / la mente tua, e dì onde a te venne” (v.46-47). Tre domande, ma alla seconda, sul come ne sia ricca la mente del poeta, risponde Beatrice: “però li è conceduto che d’Egitto / vegna in Ierusalemme per vedere, / anzi che ‘l militar li sia prescritto”(v.55-57).
Così il tema dell’esilio di Dante (politico) si trasforma, con il richiamo all’Esodo, alla vita terrena compresa come Esilio. Tutta la vita è definita così : “Egitto”. Firenze non è la patria, solo il paradiso è la Patria dove l’uomo ritorna a Dio.

Alla prima domanda Dante risponde citando il Libro delle Sentenze di Pietro Lombardo: “Speme… è uno attender certo/ de la gloria futura, il qual produce / grazia divina e precedente merto” (v,67-69). Alla terza (da dove gli provenga) il poeta si rifà al modello biblico del re Davide. L’aveva descritto come peccatore penitente e esempio di umiltà. Incontrandolo nel cielo di Giove, dove i beati avevano delineato la figura di un’aquila, il cui occhio era formato dagli spiriti più elevati,e, a formare la pupilla, vede Davide: il cantore dello Spirito Santo (Paradiso XX,37-42).
Cantore della penitenza e della lode diventa la figura in cui il poeta identifica il suo viaggio di purificazione. In virtù dell’umiltà Davide divenne il “sommo cantor del sommo duce” e l’autore del Salmo 9 , canto di lode e di speranza, da cui traduce il versetto 11: “Et sperent in te qui noverunt nomen tuum”: “Sperino in te, nella sua teodia dice, color che sanno il nome tuo: e chi nol sa, s’elli ha la fede mia?” (Paradiso v.70ss).
Da questo Salmo Dante deriva la speranza, alla quale è disposto a contribuire con il suo poema perché gli uomini ricevano altrettanta benefica speranza: “Sì ch’io son pieno, e in altrui vostra pioggia repluo”. A somiglianza di Davide, Dante, accettando il percorso di purificazione, l’umile “commedia” diventa poema sacro di speranza.
All’ultima domanda, su cosa gli promette la speranza, Dante risponde la resurrezione dei corpi nella beatitudine eterna, citando Isaia 61,7 e Apocalisse 7,9. Dopo questa risposta tutti i beati intonano il Salmo: “Sperent in te”. Il Canto riprende con l’esame dell’Apostolo Giovanni sulla carità.
don Pietro Pratolongo