Grazie Gimmy per il molto che hai dato a tutti noi!

Uomo generoso, dalla tempra forte di chi ha una grande fede e non teme di affrontare le difficoltà

Antonio Zanni (1941 – 2021)

Anche Antonio Zanni, Gimmy per gli amici, è tornato alla casa di quel Padre che ha sempre amato. Quando sembrava che potesse ritornare alla vita consueta dopo essere stato, come tanti, aggredito dal covid e dopo essere risultato finalmente negativo il suo fisico, già minato da altri malanni, non ha retto. La sua vita terrena non è stata banale. Dietro la sua bonomia e la sua gentilezza di carattere, che lo contraddistinguevano nei rapporti con le persone, si nascondeva la tempra forte di chi ha una grande fede e non teme di affrontare le difficoltà sia di ordine fisico che spirituale.
Nella sua vita ha attraversato vicende difficili e complesse. Era apparso a Pontremoli come cappuccino col nome di Padre Geminiano, da qui Gimmy, prendendo l’eredità di P. Daniele e svolgendo la sua attività nell’ambito degli scout. Ancora in questi giorni un suo “discepolo” di quei tempi mi diceva: “Per me sarà sempre P. Geminiano”. Poi, dopo una breve parentesi in Africa, le incomprensioni con l’Ordine cappuccino e, dopo varie traversie, l’abbandono della vita religiosa.
Nato in una famiglia profondamente religiosa il trauma non fu da poco. Ma sorprese anche coloro che a Pontremoli lo avevano conosciuto. Si trattava di impostare una nuova vita e ricominciare dal basso, approfittando delle situazioni lavorative che gli si offrivano. Si trova così a lavorare nella ceramica in quel di Sassuolo. Nel frattempo incontra Anna. Si sposano e decidono di prendere residenza a Pontremoli. In silenzio, senza clamore, con la diffidenza di molti per la scelta fatta, ma anche con la profonda amicizia di laici, cattolici e non, e di alcuni sacerdoti. Anche qui ricomincia come operaio nella Cosifer di Filattiera.
Nel frattempo, poiché è uomo di grande cultura, piano piano si fa conoscere e comincia ad essere apprezzato. Teleradiopuntonord sarà un po’ la sua pedana di lancio con servizi, sempre puntuali e profondi, con interviste che mai si fermavano alla superficialità e genericità delle domande. Ma lentamente, senza alcuna pretesa comincia anche a riaffacciarsi sulla scena ecclesiale. Sarà grande festa quando finalmente, ottenuta la riduzione allo stato laicale, potrà sposarsi in chiesa e potrà riaccostarsi all’Eucaristia. Malgrado le sue difficoltà con l’ordine francescano dalla sua bocca non uscì mai una parola malevola nei confronti della Chiesa che ha sempre profondamente amato. Anche nell’ambito cappuccino molti confratelli gli sono stati profondamente amici e non c’era cappuccino, che per qualche motivo fosse nei pressi di Pontremoli, che non trovasse ospitalità nella sua casa.
Nel frattempo vi erano state anche alcune novità significative avallate dal vescovo mons. Tommasi. Aveva iniziato la sua attività di giornalista collaboratore col Corriere Apuano, il settimanale diocesano, ed aveva ricevuto l’incarico di insegnante di religione nelle scuole. Per lui questo significava inserirsi, anche se in modo diverso, nell’opera di evangelizzazione che aveva sempre desiderato e che non aveva, in cuor suo, mai abbandonato.
I giovani sono così diventati il terreno della sua semina. Un terreno che aveva coltivato nella sua giovinezza e che ora lo vedeva protagonista, soprattutto negli anni del liceo scientifico a Villafranca. Lì la sua passione per la cultura che spaziava dalla teologia (aveva studiato alla Gregoriana), alla storia, alla musica lirica, di cui era cultore appassionato, all’archeologia, oltre che agli studi umanistici veniva comunicata ai giovani studenti e da essi veniva apprezzato. Il Corriere Apuano e la scuola, oltre naturalmente la famiglia, erano diventati i luoghi della sua nuova vita vissuta finalmente nella serenità.
Si farebbe però un torto a Gimmy se non si considerasse l’aspetto fondamentale della sua personalità: il francescanesimo. Raramente ne parlava, ma lo stile era quello, sobrio, dignitoso, profondo. Forse è stato quello spirito che lo ha aiutato, in nome della perfetta letizia, in momenti veramente difficili della sua vita, quando ha sperimentato sulla sua pelle anche la fatica di sopportare sorella povertà. Non dimenticherò mai la tre giorni che abbiamo vissuto insieme ad Assisi. Molti sono stati i momenti di condivisione, ma quei giorni sono stati diversi. Per la prima volta ho visto segni di nostalgia e di profonda commozione quando una suora la sera poco prima della chiusura della basilica di Santa Maria degli Angeli ci invitò, noi soli, ad entrare nella cella della morte di S. Francesco.
Come non dimenticherò la celebrazione della Messa nella grotta quasi all’altezza del torrente, angusta, dove potevano presenziare solo quattro o cinque persone, all’Eremo delle Carceri. La commozione era tangibile e non c’era bisogno di parole. Malgrado tutto S. Francesco era sempre stato il faro della sua vita. Per questo lo abbiamo apprezzato, stimato, amato. Ora riposa in pace ed i tanti amici che ha incontrato sulla sua strada, un po’ lo rimpiangono, ma soprattutto lo ringraziano.

Giovanni Barbieri