
I giovani del clan scout “Polvere di Stelle” di Pontremoli lo hanno incontrato “a distanza”

Epicoco ha lasciato un manuale di istruzioni per sopravvivere nella “società dell’apparenza”, per sviluppare le diversità individuali e affrontare al meglio il futuro.
“Dentro ognuno di noi c’è un desiderio vago, un desiderio di felicità – spiega – e la prima malattia che a volte incontriamo nella società è il non avere questo desiderio, l’accontentarsi per non soffrire”.
Ciascuno deve chiedersi se vuole essere felice: se la risposta è negativa, “se manca la sete, parlare dell’acqua è inutile”. Il problema è che “facciamo un sacco di incontri sull’acqua, ma ci siamo dimenticati che, in fondo, se non suscitiamo la sete, parlare dell’acqua non serve a nessuno”.
E allora bisogna trovare la forza di bere, di cercare la felicità. Il rimedio dell’oggi è quello di non affrontare i problemi, atteggiamento che “a lungo andare ci consuma”, per questo bisogna “rischiare, per sentire la vertigine della felicità” e il rischio per eccellenza è amare. “Se una persona non vale il rischio che forse ti stai sbagliando, allora non stai amando – dice Epicoco – ma poi ci deve essere la tua libertà: la nostra vita non è scritta nelle stelle, Dio la conosce, ma non si sostituisce alla nostra libertà”.
Una libertà che però non deve sfociare in sprovvedutezza, nel “carpe diem, un atteggiamento completamente sbagliato”, ma che deve essere accompagnata, non rimpiazzata, dalla provvidenza: “quando ci si sente voluti bene tutto ciò che facciamo lo facciamo bene. La provvidenza invece ci ama sempre, per questo puoi affrontare anche l’evento più grave”.
Tutti noi possiamo agire secondo la provvidenza che il Signore ci ha dato, perché tutti noi possiamo “mettere una persona nella condizione di sentirsi stimata e amata”. L’importante, ricorda Epicoco, è “essere se stessi e dispiacere”, cioè accettare di non piacere a qualcuno. “Il cristianesimo in questo senso è una rivoluzione. Gesù amava Pietro quando questo puzzava ancora di pesce”.
Lontano anni luce dalle dinamiche della società dell’apparenza in cui siamo immersi. Oggi, se riceviamo un complimento, dubitiamo che questo sia sincero perché “siamo poco abituati al bene, dovremmo rieducarci al bene”. Poi però c’è anche il dolore, ma “non dobbiamo parlare sempre male della sofferenza”, perché è un qualcosa di umano. Dobbiamo piuttosto confidare nella speranza e nella Fede: “chi ha il dono della Fede vive una vita spirituale accanto alla propria vita interiore”, spiega Epicoco, “è lì che Dio opera”.
“A volte la Fede diventa un fiume carsico – conclude – ci sono momenti in cui pensiamo che non ci sia più, invece sta continuando a lavorare sotto. Quando meno uno se lo aspetta, di nuovo esce fuori”.
(a.m.)