
Non sarà come prima. Lo ha spiegato con chiarezza il neo presidente del Consiglio Mario Draghi: “Alcuni pensano che la tragedia nella quale abbiamo vissuto per più di 12 mesi sia stata simile a una lunga interruzione di corrente. Prima o poi la luce ritorna, e tutto ricomincia come prima. La scienza, o semplicemente il buon senso, suggeriscono che potrebbe non essere così”.
Ci è offerto un tempo di ricostruzione, non possiamo mancare l’occasione. Già da qualche anno il nostro Paese stava lentamente fermandosi: la sofferenza dell’occupazione, la migrazione dei giovani, la carenza di una buona occupazione erano alcuni segnali. Forse, però, tra gli indicatori più eclatanti c’è il progressivo calo del numero di matrimoni.
Nel 2019, quando ancora non era attivo “l’effetto Covid” c’è stato un numero molto basso di matrimoni. Soprattutto, secondo le elaborazioni dell’ultima rilevazione Istat, sono diminuiti i primi matrimoni. Le prime nozze sono passate in poco più di un decennio dalle 212mila del 2008 a 146mila. Il tasso di primo-nuzialità (calcolato sulla fascia di età 16-49 anni) tocca i 410 matrimoni ogni mille celibi e 455 matrimoni ogni 1.000 nubili: valori così bassi non sono mai stati registrati. In 5 anni l’Istat dichiara che la propensione a sposarsi tra i minori di 34 anni ha subito un crollo, è diminuita del 9,5% tra gli uomini e del 7,8% tra le donne.
Così l’età media al primo matrimonio si è alzata ancora ed ha raggiunto 33,9 anni per i primi e 31,7 per le seconde. In Italia ci sono pochi giovani e questi scelgono di non sposarsi o di rimandare.
Per alcuni si tratta di una “scelta di vita”, per tanti altri, però, giocano diversi fattori, tutti legati ai profondi cambiamenti che nei decenni scorsi hanno segnato nel profondo la società: instabilità economica, incertezza lavorativa e quindi paura-incapacità di proiettarsi nel futuro in modo sereno.
Ecco, allora, che tutti i discorsi legati alla trasformazione del mondo del lavoro giungono al dunque. Essendo saltato il percorso naturale che ha caratterizzato il secondo dopo guerra – opportunità di studio per tutti, alla quale seguiva, se uno aveva buona volontà, una qualche forma di lavoro, magari con salari bassi ma garantiti nel tempo – non ci si può stupire se, di fronte all’incertezza sul futuro, viene meno anche la fiducia nello stesso che la creazione di una famiglia richiede.
Ritornando a quanto detto sopra, da parte di Draghi o di chi verrà dopo di lui non basterà “fare qualcosa” per il lavoro, si dovranno operare delle scelte focalizzate sulle opportunità da offrire alla “next generation”. Le crisi di matrimoni, così come quelle delle nascite, sono temi che non riguardano solo i singoli.
Ci sono ricadute per il benessere della comunità, che trae giovamento dal rinnovo tra i nuclei familiari, sia in termini di sviluppo che di socialità. Se domani non sarà come prima, bisogna fare di tutto perché, in questo come in altri ambiti vitali, sia meglio.