
Il viaggio per sostenere i cristiani perseguitati e indicare a tutti la via della pace

Ci sarà bisogno di tempo per giungere a capire in modo più completo il significato del viaggio di Papa Francesco in Iraq. Grande è stata l’attesa, così come significativi sono stati i momenti che hanno scandito i tre giorni iracheni di Francesco. Il tema che ha accompagnato il viaggio è stato senza dubbio la pace, richiamata infinite volte.
L’ammonimento: “Tacciano le armi! Basta violenze, estremismi, fazioni, intolleranze!”; l’esortazione a “costruire il futuro più su quanto ci unisce che su quanto ci divide”; la condanna di guerra, odio e violenza “incompatibili con gli insegnamenti religiosi”; l’invito a uscire dalla pandemia “migliori di prima”, partendo dalla consapevolezza che “la diversità religiosa, culturale ed etnica che ha caratterizzato la società irachena per millenni, è una preziosa risorsa a cui attingere, non un ostacolo da eliminare”.
Nel primo discorso, rivolto alle autorità, l’Iraq è indicato come Paese “chiamato a mostrare a tutti, specialmente in Medio Oriente, che le differenze, anziché dar luogo a conflitti, devono cooperare in armonia nella vita civile”; le nazioni, da parte loro, sono invitate a non ritirare “la mano tesa dell’amicizia e dell’impegno costruttivo”. La strada indicata è la “coesistenza fraterna”: una scelta ardua, che ha bisogno della collaborazione di tutti.

Nella cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza di Bagdad, dove il 31 ottobre del 2010 sono state uccise 48 persone, il Papa cita il “sangue dei nostri fratelli e sorelle che qui hanno pagato il prezzo estremo della loro fedeltà al Signore e alla sua Chiesa”. “La loro morte ci ricorda con forza che l’incitamento alla guerra, gli atteggiamenti di odio, la violenza e lo spargimento di sangue sono incompatibili con gli insegnamenti religiosi”.
Quindi il ringraziamento ai vescovi, che sono rimasti vicini al loro popolo durante la guerra e le persecuzioni. Storico anche l’incontro, strettamente privato, con il Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani – il più importante, venerato e seguito nel mondo sciita – nella città sacra di Najaf.

Dall’ufficio di al-Sistani è stato reso noto che, durante l’incontro, in cui si è parlato di diritti umani e della mancanza di giustizia sociale, parlando dei cristiani, il Grande Ayatollah ha detto che, come tutti i cittadini iracheni, devono vivere in “sicurezza e pace”.
Papa Francesco, ha riferito la sala stampa vaticana, ha sottolineato l’importanza della collaborazione e dell’amicizia fra le comunità religiose e ha ringraziato Al-Sistani perché, assieme alla comunità sciita, ha levato la sua voce in difesa dei più deboli e perseguitati. Il suo terzo discorso in Iraq, Francesco lo ha tenuto sabato nella piana di Ur dei Caldei, secondo la tradizione luogo di nascita di Abramo, nel corso dell’incontro interreligioso. Un ricordo particolare lo ha rivolto alla comunità yazida, “che ha pianto la morte di molti uomini e ha visto migliaia di donne, ragazze e bambini rapiti, venduti come schiavi e sottoposti a violenze fisiche e a conversioni forzate… Oggi preghiamo perché tornino presto alle loro case”.

Da questa difficile situazione, ha affermato il Papa, “non ci salverà l’isolamento, non ci salveranno la corsa a rafforzare gli armamenti e ad erigere muri… non ci salverà l’idolatria del denaro… non ci salverà il consumismo.
La via che il Cielo indica al nostro cammino è la via della pace”. Da qui l’appello ai leader religiosi presenti: “Sta a noi, credenti di ogni religione, convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace. Sta a noi esortare con forza i responsabili delle nazioni perché la crescente proliferazione delle armi ceda il passo alla distribuzione di cibo per tutti. Sta a noi mettere a tacere le accuse reciproche per dare voce al grido degli oppressi e degli scartati sul pianeta. Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa”.
L’ultimo giorno di viaggio è stato a Mosul, in mezzo alle macerie lasciate dalla “tempesta disumana” dell’Isis.

Di nuovo una preghiera per le vittime della guerra e per un futuro di pace e fraternità in Iraq: “Se Dio è il Dio della vita – e lo è, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è -, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è -, a noi non è lecito odiare i fratelli… Preghiamo anche per tutti noi… consapevoli che agli occhi di Dio siamo tutti fratelli e sorelle”. “Il terrorismo e la morte non hanno mai l’ultima parola”, ha ripetuto anche a Qaraqosh, la più grande comunità irachena a maggioranza cristiana, incontrata nella cattedrale dell’Immacolata Concezione.
Infine, la S. Messa a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno e tappa conclusiva. Il Papa ha chiesto di non cedere “alla tentazione di cercare vendetta” ma di essere “strumenti della pace di Dio e della sua misericordia”.
Al viaggio, ha rivelato, è stato spinto anche dal desiderio di ringraziare quei cristiani che hanno generosamente offerto aiuto concreto e solidarietà ai poveri e ai sofferenti: “Oggi, posso vedere e toccare con mano che la Chiesa in Iraq è viva”. Toccante il saluto finale: “Ora, si avvicina il momento di ripartire per Roma. Ma L’Iraq rimarrà sempre con me, nel mio cuore”. (a.r.)