Repubblica Centrafricana: uno stato fragile dove è forte la presenza di gruppi armati

Negli anni, in Africa, il malgoverno, la corruzione, il nepotismo, la deriva verso regimi autoritari hanno alimentato malcontento, ribellione, secessionisti, colpi di stato e guerre civili

A fine dicembre 2020, in occasione delle elezioni presidenziali nella Repubblica Centrafricana, una coalizione di gruppi armati ribelli ha scatenato una serie di offensive con l’obiettivo di entrare nella capitale Bangui e prendere il potere. Il tentativo è fallito ed ora è tornata una relativa calma, ma pesanti sono le conseguenze: qualche centinaio i morti, numerosi feriti e migliaia di sfollati.
Non è una situazione nuova. Da anni nel territorio sono stanziati circa quindici piccoli eserciti di milizie irregolari. Del resto, in Africa centrale subsahariana – la terra delle guerre dimenticate (ad esempio la regione dei Grandi Laghi, ove è stato ucciso l’ambasciatore Luca Attanasio) – tali gruppi armati si contano a decine. Tra le molteplici cause del fenomeno (escludendo dall’analisi i fondamentalisti islamici) c’è anzitutto la debolezza dell’autorità statale.
La maggior parte delle nazioni africane sono giovani, senza forti radici storiche, eredi di arbitrarie divisioni territoriali di matrice coloniale, con una geografia politica estranea alle caratteristiche etniche, sociali e demografiche delle popolazioni. Gli europei, infatti, concessero l’indipendenza nel secolo scorso, intorno agli anni Sessanta, senza un periodo di transizione né l’adeguata formazione di una classe politica preparata a dirigere i Paesi.
Purtroppo i nuovi detentori del potere, mancando precedenti esperienze democratiche ed una coscienza nazionale, spesso si sono mostrati incapaci di amministrare con equità le vaste estensioni territoriali ove coabitano etnie differenti. Il malgoverno, la corruzione, il nepotismo, la deriva verso regimi autoritari hanno così alimentato malcontento, movimenti di ribellione, secessionisti, colpi di stato e guerre civili. Si sono costituiti, in tal modo, piccoli eserciti autonomi nazionali o transnazionali (considerata la permeabilità delle frontiere), slegati dall’autorità dello Stato.
Nel corso degli anni queste milizie irregolari hanno progressivamente visto le motivazioni ideologiche, politiche ed identitarie, cedere il passo al desiderio di arricchimento spesso fomentato da interventi e interessi stranieri. In altri termini, se fattori di ordine storico, politico e sociale possono spiegare le origini di conflitti civili nel contesto sub-sahariano, motivati da istanze riformiste, il prosieguo dei movimenti di guerriglia è piuttosto legato a ragioni economiche, anche per lo sfruttamento delle risorse del Paese, spesso con ingerenze estere.
Frequenti le esazioni abusive e i rapimenti a scopo di riscatto. Si crea talora un circolo vizioso: la guerra civile lascia dietro di sé uno stato fragile e destabilizzato, aumento della povertà, mentalità violenta; un terreno favorevole per gruppi che utilizzano criminalità e banditismo come mezzo di sussistenza. La fisionomia delle milizie armate irregolari è varia.
Talora si tratta di piccoli eserciti che contano qualche centinaio di elementi, bene equipaggiati, composti da ex-militari radiati dal proprio Paese oppure non integrati in un nuovo regime, insieme a mercenari. Altre volte sono piccole bande che vivono di rapina. Per quanto riguarda le armi si va dai fucili artigianali, ai kalashnikov, a mitragliatrici, bombe a mano e lancia-granate. La provenienza deriva da traffici illegali, assalti a depositi statali o caserme.
Difficile eliminare il fenomeno solo con azioni militari poiché sono più abituati a vivere nella natura, in condizioni di disagio. Quali soluzioni possibili? I Caschi Blu dell’ONU ed altre forze internazionali di interposizione cercano di ristabilire l’ordine e la sicurezza per proteggere la popolazione. Purtroppo spesso tali interventi si limitano ad impedire il peggioramento della situazione più che risolverla. Il Consiglio dell’Unione Europea è impegnato nell’aiuto al rafforzamento delle Forze Armate centrafricane quale fondamento della sicurezza interna.
Non si possono chiedere però risultati immediati: l’embargo sulla vendita di armi alla Repubblica Centrafricana è stato parzialmente rimosso solo nel settembre 2019. Gli Organismi umanitari che forniscono assistenza medica e soccorsi alimentari (Medici senza Frontiere, Croce Rossa, Programma Alimentare Mondiale, Unicef, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati…) sono numerosi e svolgono un’opera benemerita. Di frequente subiscono aggressioni a scopo di rapina. La Chiesa, che soffre accanto alla gente, non è risparmiata.

P. Antonio Triani in Centrafrica (Foto Ivano Puccetti per il periodico “Lo farò volentieri”)

Lo testimoniano i sacerdoti uccisi, i saccheggi, la distruzione di edifici, le difficoltà nello svolgere un apostolato normale. Rimane però il punto di riferimento più importante quando svolge un ruolo profetico di denuncia e continua a curare opere sociali di educazione, attività sanitaria, sostegno a famiglie povere e sviluppo. Significativo il fatto che, durante le crisi ricorrenti di violenza, migliaia di rifugiati abbiano cercato e trovato aiuto e protezione nelle concessioni di chiese ed istituti religiosi.
I vescovi del Centrafrica, nel corso dell’Assemblea di gennaio svoltasi a Bangui, richiamano all’amor di patria ed alla responsabilità per tutelare le proprie ricchezze ed il bene comune. Dinanzi alla gravissima situazione umanitaria con tante persone che, in fuga dalla guerra, vivono in condizioni disumane, i pastori della Chiesa invitano a cessare le violenze: “Smettiamola di creare divisioni e di dare le ricchezze a minoranze solo in base a legami politici o affinità tribali. Il paese ha sofferto troppi complotti esterni con complicità locali “.
Per risolvere l’attuale crisi, dicono i presuli, serve l’impegno di tutti, dopo che tribalismo, nepotismo e avidità di potere hanno gettato il Paese in mano a mercenari e banditi. La soluzione può essere solo endogena. Occorre poi fare un’altra considerazione.
Quando si parla di interventi a favore dell’Africa, si sottolineano gli aspetti economici e tecnici, i rapporti commerciali ingiusti, le multinazionali che sfruttano le risorse, la fornitura di armi. Si ignorano o si mettono tra parentesi, quasi fossero ininfluenti, i valori culturali e religiosi, l’educazione, la mentalità, i costumi. Il cammino di crescita di una nazione, nel passaggio da una condizione quasi primitiva a società organizzata moderna, richiede tempo ed è frutto di educazione e formazione ai valori umani e tutela del bene comune. È in questo impegno a lungo termine, poco appariscente, volto alla crescita integrale della persona, che la Chiesa fornisce il contributo più prezioso.
Giovanni Paolo II scrive nella enciclica Redemptoris Missio: “Lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione della mentalità e dei costumi. È l’uomo il protagonista dello sviluppo”. Uomini nuovi sapranno costruire una società nuova.
Papa Francesco, aprendo la porta dell’anno santo a Bangui, ha affermato che questa violenza è opera del demonio. L’asserzione è stata ripresa dal cardinale, mons. Dieudonné Nzapalainga. Come stupirsi? Il diavolo reagisce quando perde terreno perché la Chiesa cresce. Così si comprendono, in un ambito di fede, gli inviti ripetuti alla preghiera, vera arma spirituale del cristiano.
L’Africa è ricca di vita, di risorse umane (il continente con più alta natalità ) e naturali. Qui la gente è stanca di violenze e divisioni; desidera solo la pace. Incontri di dialogo, gesti di solidarietà e di riconciliazione manifestano i sentimenti della grande maggioranza della popolazione. Del resto diverse nazioni africane, uscite da lunghi anni di conflitto, sono già avviate verso un avvenire dignitoso.

p. Antonio Triani