Dall’associazione Farfalle in cammino l’idea di far di Pontremoli centro di attrazione per il lavoro agile
Per alcuni osservatori il lavoro (e lo studio universitario) in remoto dovrà necessariamente essere una parentesi legata al confinamento sociale imposto dall’epidemia di Covid: troppi i danneggiati dalla nuova vita che assumerebbero gli smart-workers, troppi i dirigenti e i manager che temono l’idea di non avere un controllo visivo e orario dei propri sottoposti. Per altri, potrebbe essere un’opportunità: a partire dal garantire ai lavoratori stili di vita meno legati a lunghi spostamenti quotidiani, fino a evitare lo spostamento definitivo delle loro famiglie vicino al posto di lavoro.
In giugno ne parlammo proprio sulle nostre pagine: il lavoro agile poteva essere un’opportunità per territori che soffrono lo spopolamento, come il nostro, ed economicamente fragili, con un numero altissimo di lavoratori che svolgono le loro occupazioni nei centri della Costa, alimentando un flusso di pendolarismo quotidiano molto alto, o anche verso il Nord Italia, da dove rientrano, quando ci sono le condizioni, nel week end. A rilanciare in zona un dibattito già molto vivo in altre parti d’Italia è stato in queste settimane un gruppo di trentenni-quarantenni pontremolesi riuniti attorno all’associazione di turismo responsabile Farfalle in Cammino. Alcuni di loro hanno contribuito al progetto con la loro esperienza professionale in Italia o all’estero, altri con l’approfondita conoscenza storica e geografica del territorio e la loro attività nel campo turistico.
Ne è nato un progetto dal titolo “Start-working”, lanciato da un sito internet – www.startworking.live – e da un tam tam comunicativo che li ha portati già sulla stampa nazionale, per esempio su Il Sole 24 Ore. L’idea? Cogliere l’opportunità dello smart working per proporre a chi ha desiderio di cambiare vita di vivere (o tornare a vivere) a Pontremoli. Un’opportunità basata su tre pilastri. Il primo: la collocazione geografica: da Pontremoli si raggiungono in poche decine di minuti mare e Appennino, diversi capoluoghi di provincia, non lontana da Milano e da Parma, servita da ferrovia e autostrada. In secondo luogo, il comune lunigianese può vantare ancora una rete di servizi ampia nonostante le sue dimensioni: scuole, ospedale, un certo tessuto commerciale e, soprattutto, una rete internet che innerva quasi tutto il territorio comunale con prestazioni di “banda larga”. Infine, un posto godibile dal punto di vista della qualità della vita, tra eventi, tradizioni, associazionismo, ambiente naturale. Il marketing impone ovviamente di passare sopra alle criticità che pur sempre caratterizzano la nostra area, ma il progetto appare già molto operativo – presenti sul sito una selezione di appartamenti in affitto e un invito a una visita guidata gratuita al territorio – e capace di attirare curiosità. Il Comune ha patrocinato ufficialmente l’iniziativa, il cui lancio stampa è saltato a causa della preoccupante ripresa della pandemia. (Davide Tondani)
Orizzonti da ampliare e una politica a cui supplire
Pensare allo smart working non solo per trattenere sul territorio le troppe persone costrette a un estenenuante pendolarismo quotidiano o del fine settimana, che spesso si trasforma in un trasferimento definitivo, ma anche per attirare nuovi abitanti, è davvero un progetto audace, che ha il merito di avere una visione proiettata sul futuro e che cerca di dare una risposta al problema dello spopolamento del territorio e alla carenza di opportunità di sviluppo. Non si può non sottolineare che l’idea, per come è stata lanciata, soffre di un “Pontremoli-centrismo” – ci perdonerete il neologismo che indica un atteggiamento assai diffuso nella vita pontremolese – che rischia di tarpare le ali al progetto: uscire dagli angusti confini comunali e aprirsi all’intera Lunigiana, in una logica di sistema e nella consapevolezza che il lento declino dei nostri borghi e una nuova stagione di sviluppo possono arrivare solo se si mettono da parte gli orgogli di campanile, è l’aspetto su cui, necessariamente, il gruppo di lavoro dovrà confrontarsi. Del resto, la Lunigiana intera mostra le stesse caratteristiche ambientali e logistiche presenti all’ombra del Campanone, a partire dalla rete, indispensabile per il lavoro da remoto: la banda larga di Tim o la fibra di Open Fiber coprono larga parte del territorio con prefisso 0187, raggiungendo anche molte delle frazioni più lontane dai centri del fondovalle. Ma l’aspetto più rilevante di un progetto così innovativo, il cui successo potrà essere valutato solo in un orizzonte di tempo molto lungo, è che ancora una volta la società civile si trova ad agire per ideare e implementare nuovi percorsi di sviluppo supplendo alla generalizzata assenza di visioni e di idee da parte della politica locale. Non che manchino bravi amministratori, talvolta dotati di buone idee (l’adesione al Parco Nazionale dell’Appennino da parte di alcuni di essi – ma non da tutti! – ne è un esempio), ma in generale è difficile scorgere nell’operato delle amministrazioni comunali azioni o proposte che vadano al di là della gestione del quotidiano e che si spingano a pensare la Lunigiana tra 20-30 anni. Serve a poco concedere patrocini o presenziare a conferenze stampa, senza avere una visione politica di futuro e senza azioni concrete che nel quotidiano indirizzino verso quella meta: al massimo a fare proprio, immeritatamente, un pezzo del successo delle iniziative che il tessuto sociale riesce a realizzare. (d.t.)