Un segno di pacificazione e di rispetto della memoria

Restituita alla Slovenia la Casa della Cultura incendiata dai fascisti nel 1920

29editorialeQuante volte dopo un contrasto siamo riusciti a camminare insieme mano nella mano, ci siamo rasserenati e siamo stati bene: lo hanno fatto i presidenti della repubblica italiana Sergio Mattarella e slovena Borut Pahor in visita di Stato. Quel gesto pieno di tenerezza nel silenzio che rendeva onore alle vittime di reciproci furori ha suscitato ammirazione e ha valore storico di riconciliazione. A Basovizza sul Carso nel maggio 1945 da cinque a settemila italiani militari, poliziotti e civili furono inghiottiti in foibe fucilati dai soldati della Jugoslavia di Tito di cui faceva parte anche la Slovenia e il presidente sloveno è ora il primo a commemorare quelle vittime.
La visita è avvenuta il 13 luglio, una data che ricorda il punto di partenza di una criminale violenza, quella nel 1920 dell’incendio a Trieste della Casa della Cultura, Narodni Dom in lingua slovena. Era sede e simbolo visivo dell’organizzazione della consistente minoranza slovena che, come altre minoranze etniche, da tempi lontani si era insediata nel centro culturale ed economico del porto di Trieste, sbocco al mare della Mitteleuropa germanica e slava. La struttura polifunzionale aveva un teatro, una banca, caffè, biblioteca, alloggiata presso l’albergo Balkan, era nata nel 1907. Prima ci fu un comizio del sindaco fascista Francesco Giunta che incitava all’odio: scoppiano tafferugli, sono distrutti negozi gestiti da sloveni, sassaiola contro la sede del consolato, tre spedizioni fasciste convergono sul Narodni Dom, incendiano e vietano ai pompieri di intervenire, le forze dell’ordine non fermano nessuno, anzi aderiscono ad un’impresa che lo storico Renzo De Felice giudica il “vero battesimo dello squadrismo organizzato”.
30Narodni_DomNella Trieste multietnica si afferma e predomina il nazionalismo italiano con chiare venature razziste, si impone una italianizzazione forzata di tutti gli slavi che vivono nelle terre del confine orientale, a Trieste le scuole slovene vengono chiuse. Le conseguenze del rogo sono di lunga durata, hanno creato odio verso tutto ciò che appariva italiano fino ad arrivare alle foibe e all’esodo dei profughi nell’immediato dopoguerra. Molte altre le violenze contro gli sloveni; nel 1930 ci fu la fucilazione di quattro giovani sloveni resistenti contro il fascismo condannati dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato.
Per domare la resistenza slovena Mussolini fece ritorsioni sui civili, a Gonars circa 8mila furono imprigionati, 400 morirono per fame e freddo tra cui 70 bambini, le loro ossa furono ritrovate in fosse comuni. La censura mise silenzio pieno su quell’orrore come fu per i massacri e l’uso del gas in Etiopia.
Finalmente il cuore è stato messo dentro la testa e i due presidenti tenendosi per mano chiamano per l’avvenire a senso di responsabilità.“La storia non si cancella e non si dimenticano le sofferenze di queste terre” ha detto Mattarella e Borut Pahor ha espresso “gioia immensa, giustizia ora è stata fatta, è stato corretto il torto, si è fatta festa per celebrare insieme una gioia condivisa”.
Un memorandum d’intesa è stato firmato e restituisce alla Slovenia la proprietà dell’edificio che era stato espropriato e ricostruito come albergo di proprietà privata. Alla cerimonia di lunedì scorso era presente lo scrittore sloveno Boris Pahor che in agosto compirà 107 anni, i due presidenti lo hanno incontrato. Era presente al rogo del 1920 e ne dà testimonianza nel libro Il rogo nel porto e in Necropoli – altro libro del 2009 che fa memoria del suo “vivere la morte” deportato nel lager dove ebbe in sorte di fare l’infermiere e necroforo, lavoro un po’ meno bestiale – confessa che, a causa del disconoscimento agli sloveni di elementari diritti e di identità triestina, provava ancora una sottile diffidenza nei confronti dei compagni di sventura italiani: “noi sloveni del litorale affermavamo ostinatamente di essere jugoslavi. Il cuore e la mente si ribellavano al pensiero di essere eliminati schedati come cittadini italiani, mentre è la sciagurata alleanza dell’Italia fascista con la Germania nazista l’origine di quell’inferno in cui sono finiti anche molti italiani”. Nella prefazione a Necropoli lo scrittore triestino Claudio Magris ammette con senso di colpa anche suo personale che “un muro di ignoranza ha a lungo separato gli italiani dalla minoranza slovena, privando entrambe le comunità di un essenziale arricchimento reciproco”. La tenerezza di quel tenersi per mano di Mattarella e Pahor dà speranza, fa bene al cuore e alla storia.

Maria Luisa Simoncelli