
Varie aziende ed enti pubblici, hanno utilizzato questo metodo di lavoro anche nel nostro territorio

Con l’emergenza Covid il lavoro a distanza ha fatto la sua comparsa anche in Lunigiana ma con livelli diversi di apertura a questa modalità molto variegata, a giudicare dalla ricognizione effettuata tra alcune delle attività produttive più significative del territorio. Non mancano in zona realtà industriali significative per fatturato e rapporti internazionali che risultano avere limitato al massimo l’utilizzo di forme diverse dal lavoro in presenza, anche nella fase acuta dell’epidemia. Ma al fianco di queste convivono realtà come General Beverage, azienda protagonista su scala nazionale nel settore della distribuzione di bevande e alimenti, circa 45 dipendenti nello stabilimento di Pontremoli, di cui una quindicina di impiegati, che ha adottato il lavoro da casa per i propri commerciali, impossibilitati peraltro a raggiungere una fetta importante della loro clientela, cioè ospedali, cliniche e case di cura. Difficilmente, tuttavia, il “lavoro agile” potrà diventare una consuetudine, ci dicono, se non per il settore commerciale e gli agenti di vendita.
Diversa la visione – giustificata dalla peculiarità del settore produttivo – della Zucchetti di Aulla, filiale dell’omonimo gruppo informatico lodigiano, che nello stabilimento della Filanda occupa 150 persone. “Lo smartworking ha coinvolto tutti i dipendenti fino al 4 maggio”, ci dice Giovanna Mola, responsabile per il gruppo della filiale lunigianese. “Per una software house è stato particolarmente facile attuare questa modalità. Inoltre – prosegue Mola – il gradimento dei dipendenti è stato assai elevato”. E se in passato lo smartworking era stato adottato in misura limitata per casi contingenti, Mola sembra possibilista sugli sviluppi futuri: “L’esperienza è stata positiva e Zucchetti ha deciso di predisporre per il prossimo autunno un piano di adozione di questa misura in linea con le preferenze espresse dalle persone e con le necessità dei gruppi di lavoro e dei clienti”.
Nel settore pubblico, dove il decreto “Cura Italia” ha introdotto il lavoro agile come modalità ordinaria di svolgimento dell’attività lavorativa durante l’epidemia, in deroga ad accordi sindacali, lo smartworking ha assunto dimensioni rilevanti.
La Provincia di Massa Carrara, 120 dipendenti dopo la scellerata cura dimagrante della legge Delrio, di cui 76 tra tecnici e impiegati, ha collocato 47 di questi in lavoro agile almeno per alcuni giorni la settimana, con presenza in ufficio a rotazione: 30% a marzo, al 70% adesso. Pur nell’emergenza e senza che fossero mai fatte sperimentazioni precedenti di lavoro agile, da Palazzo Ducale sottolineano la maggior consapevolezza dell’efficacia di un lavoro per obiettivi, libero da vincoli d’orario ma più legato ai risultati, rispetto a un’attività svolta in una sede fissa entro orari predefiniti. Risultati che fanno pensare alla dirigenza dell’Ente che alcune attività potranno essere mantenute anche in futuro, dopo aver risolto stabilmente i problemi della sicurezza e della riservatezza dei dati trattati da remoto.
Situazione simili all’Estar, l’ente di supporto informatico e amministrativo alle ASL della Toscana: qui la contrattazione di ente aveva già previsto, in attuazione della riforma Madia, criteri di attuazione del lavoro agile, ma la pandemia ha accelerato le cose. I circa 40 dipendenti di supporto alla ex Asl 1 hanno lavorato da casa, mentre l’Ente ha provveduto ad acquistare una piattaforma tecnologica avanzata per le videoconferenze. Come nel caso della Provincia, tuttavia, le attrezzature informatiche impiegate sono state quasi esclusivamente quelle di proprietà dei dipendenti. Gianpiero Starnino, della Rsu di Estar per la Fp-Cgil, ha evidenziato che, al contrario di chi ha descritto lo smartworking nel pubblico impiego come la terra promessa dei fannulloni, la nuova modalità lavorativa senza vincoli orari ha determinato maggiori carichi di lavoro “soprattutto per quanti erano impiegati nella logistica e nell’approvvigionamento delle strumentazioni mediche e dei farmaci, consci dell’importanza di fare presto nel reperire quanto necessario per le strutture in un momento così drammatico”. Un aspetto, quello dei maggiori carichi di lavoro, confermato anche dagli studi precedenti la pandemia: in media gli smartworkers tendono a lavorare di più rispetto ai colleghi in sede, in cambio però di costi di spostamento nulli e di una migliore conciliazione tra vita quotidiana e lavoro.
(Davide Tondani)
Il pontremolese Emanuele Filippi da quasi un anno lavora per il Comune di Parma da casa
Ma per qualcuno era già una consuetudine

Per molti lavoratori il telelavoro o lo smartworking erano realtà già prima del lockdown, anche in Lunigiana. È il caso di Emanuele Filippi, pontremolese e dal 2001 ingegnere civile all’Ufficio Mobilità del Comune di Parma. Dal settembre 2019 ha iniziato un progetto di telelavoro di durata sperimentale di 1 anno, lavorando quindi dal proprio domicilio per due mezze giornate a settimana. “L’Ente – ci racconta Filippi – mi ha sottoposto ad un corso di formazione su sicurezza sui luoghi lavoro, privacy e informatica, mi ha dotato di un notebook, con il quale ho accesso totale ai database dell’Ente e grazie a specifiche app di videoconferenza, dialogo giornalmente con colleghi e operatori economici esterni, con la possibilità di condividere documenti di varia natura”. Il progetto prevede due rendicontazioni semestrali dell’attività svolta controllate dal dirigente di Settore.
Con l’emergenza Covid, il lavoro da casa negli uffici pubblici è stato esteso al massimo possibile. Per Filippi ciò ha significato l’estensione del telelavoro a tutta la settimana, prevedendo un graduale rientro a partire da luglio; è emerso, così, il lato negativo di questa modalità lavorativa: “Operando da casa mi è mancato il contatto umano con le persone”. Esperienza da dimenticare, quindi? Al contrario: “La mia esperienza è sostanzialmente positiva – afferma l’ingegnere – perché, pur stando a casa, non ho ridotto la mia produttività, riuscendo a svolgere molte attività con maggiore concentrazione rispetto agli ambienti open space dell’ufficio. Ed evitare 2 ore e mezzo di viaggio in treno al giorno ha certamente alzato la qualità della mia vita”. (d.t.)