Un Paese che deve aprirsi alle nascite

21famiglia1Tra la paura, la sofferenza, le preoccupazioni regalateci dal Covid-19 e le solite beghe politiche, è passata in secondo piano una notizia preoccupante: l’Italia ha segnato un nuovo record negativo di nascite. La fotografia è chiara e inequivocabile. Le cifre Istat sono lì a dimostrarci che, nel 2019, in Italia si è registrato il minor numero di nascite di sempre (appena 435mila).
Di questo calo, da noi come in tanti Paesi occidentali, si parla da decenni. Le ragioni sono varie: dalla mancanza di lavoro alla crisi della famiglia. Anche se può apparire paradossale che, salvo qualche eccezione, proprio i Paesi più ricchi rinuncino a mettere al mondo figli, mentre là dove si lotta per sopravvivere l’unica “ricchezza” che ci si consente è quella di avere tanti figli. I dati italiani fanno paura. Evidenziano un Paese che invecchia, mentre una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore, vivendo privazioni e sacrifici spostando con le mani, indurite dai calli, le macerie e dandosi da fare per la ricostruzione, è stata decimata dalla pandemia.
Le culle vuote sono la fotografia di un’Italia che appare sempre più stanca, più sfiduciata, che sta perdendo la voglia di progettare. Di sognare. Perché, in effetti, il tempo che viviamo non ci carica certo di energie positive. Occorre ripensare servizi seri e concreti per le famiglie; uno sforzo straordinario, ma dovuto, da parte dello Stato, chiamato a puntare sui grandi investimenti pubblici per sostenere l’occupazione e garantire liquidità alle imprese, rifinanziando gli ammortizzatori sociali in modo da avviare la sospirata rirpesa.
Urge investire negli asili nido e nella scuola dell’Infanzia, ma più in generale nella scuola di ogni ordine e grado. I genitori devono avere garanzie di sicurezza per la tutela e la crescita armonica dei figli. Tornare ad essere genitori, a non aver paura della vita nascente è sinonimo di progresso, ma spetta, come spesso viene sottolineato anche dalla Chiesa, alle Istituzioni pubbliche riconsiderare prioritari gli interventi atti a rimuovere gli ostacoli che bloccano il formarsi di giovani famiglie e, di conseguenza, la procreazione.
Una civiltà che ha paura di generare diviene meno umana e più povera da ogni punto di vista. Per cui, un popolo civile non può rassegnarsi al triste primato della denatalità. In primis, va garantito il lavoro e con esso la flessibilità degli orari per i genitori affinché abbiano la possibilità di svolgere con responsabilità ed i dovuti mezzi il loro prezioso ruolo. Alla diminuzione delle nascite contribuisce anche il trasferimento di parecchi italiani all’estero.
Lo scorso anno ben 115mila connazionali si sono trasferiti altrove, 3mila in più dell’anno precedente. Eppure, da parecchio, non sentiamo uno dei nostri politici spendere una parola sulla “scomparsa” dei figli. Ascoltando i loro proclami, soprattutto le loro liti, sorge il dubbio che vivano in un Paese tutto loro. Lontano dal vero Paese di milioni di abitanti. Un Paese che non fa figli. Che sta rinunciando a pensare al futuro.

Ivana Fornesi