
Domenica 10 maggio – V di Pasqua
(At 6,1-7; 1Pt 2,4-9; Gv 14,1-12)
“Non sia turbato il vostro cuore”, e in quel momento, al suono della voce del Maestro, tutte le paure vengono risvegliate e ci camminano incontro. Le avevamo nascoste, negate, rimosse e invece lui le chiama. Perché il nostro cuore è turbato, e lui lo sa. Le paure fanno nido e non emigrano facilmente, noi proviamo ad ignorarle e loro appesantiscono, nell’ombra, le nostre vite. Gesù porta alla luce le paure, ma lo fa con tenerezza e decisione, le espone alla luce e le relativizza. È una madre che accende la luce nella stanza buia e impaurita dei bambini.
“Eccole le vostre paure, non sono da sottovalutare, fanno male, impediscono la gioia ma voi abbiate fede in me”. E mentre lui parla noi sentiamo la sua carezza dolce e il suo sguardo deciso sulla nostra paura di non avere un posto e di non essere di nessuno.
Che poi sono queste le radici di tutte le paure: non avere casa e non avere amore. Gesù promette un posto, anche oltre il passo della morte e un’appartenenza, “verrò di nuovo e vi prenderò con me”, che è ribadire che siamo suoi, che gli apparteniamo, che non siamo abbandonati al Niente.
Ma come fare a credere tutto questo? Come fare a non ridurre le parole di Gesù a una tenera illusione? È sempre Gesù a rispondere, “chi crede in me compirà le opere che io compio”.
La risposta di Gesù è risposta di carne e di sangue, attraversa i nostri muscoli, chiede di fare l’amore con la nostra libertà: la risposta di Gesù è risposta di incarnazione. Non siamo chiamati a credere a Dio ma a fargli spazio, a essere Spazio di Dio.
Quando Gesù dice “Io Sono” è chiaro il riferimento al Testamento Antico e alla manifestazione divina ma credo sia chiaro anche il campo entro cui vuole deporre l’esperienza di Dio, anche per noi: Dio lo possiamo trovare solo nel nostro Essere, quando riusciamo a percepire anche per noi che “Io Sono”.
Nel nostro Essere, tra la carne e i sogni, tra le attese e le ombre, tra la decisione e i passi, Dio è. La nostra storia personale è lo spazio in cui Dio chiede di essere mostrato. E solo mostrando il Suo volto io lo incontro, un pensiero non basta, il pensiero illude, magari convince, ma non respira, non basta a essere presenza. Ecco, Dio chiede presenza, prossimità, chiede permesso allo spazio e al tempo che ci è stato donato. Gesù, vivendo, ha mostrato il volto del Padre e ora noi, fragili pellegrini peccatori, intuiremo la prossimità di Dio se almeno sapremo balbettare in noi le opere che Gesù ha compiuto.
don Alessandro Deho’