
La pandemia rende particolare anche la ricorrenza del patrono di Avenza

Chi viene da fuori, come me, qualche anno fa, da Aulla, può sapere cosa sia per gli avenzini la festa di San Marco solo per sentito dire. Forse qualcuno collega questo titolo alla bella scuola calcistica, qualcun altro potrebbe pensare ad una delle tante feste che si svolgono sul territorio, ma il celebrare e vivere questo giorno è qualcosa di profondamente diverso e radicato, oserei dire inserito nel DNA degli abitanti e tramandato ormai da secoli. Insisto dicendo che, veramente, è qualcosa di viscerale, un appuntamento atteso da grandi e piccini, che mettono il meglio di sé nell’attesa e nella preparazione: dalla celebrazione religiosa alla festa squisitamente gioiosa dell’incontro, dall’aspetto gastronomico a quello del ricordo del passato. Un’attesa che ogni anno è sempre più grande anche per me, impegnato a non trascurare nulla e a coinvolgere gli ospiti, i fedeli e i tanti visitatori della grande fiera, stimati in oltre ventimila presenze.
La festa, almeno dal 1930, aveva assunto anche la funzione di ritrovo e di richiamo per i tanti preti nati e cresciuti in Avenza (anche più di 20 in certi periodi), che da ogni parte della diocesi e molti perfino dalla lontana Garfagnana, come un ordine dato, rientravano a casa dalle loro famiglie. Emblematico è il caso di don Nildo, parroco di Antona, che celebrava le rogazioni e la visita ad una maestà di San Marco all’alba e, con la corriera, arrivava in tempo per partecipare alla Messa cantata: ancor oggi questa devozione nel piccolo paese della montagna massese è celebrata alla stessa ora.
È un dono prezioso la partitura del Proprio della Messa a quattro voci in italiano, scritta magistralmente e appositamente da mons. Italo Bianchi per questa parrocchia, nella quale nel 1959 è stato ordinato presbitero assieme a mons. Mario Menconi. Come non citare in questa occasione lo storico proposto don Frediano Moni, ancora oggi nella memoria di tutti: il tempo della guerra e della ricostruzione, le lotte politiche e la costruzione del grande oratorio per la gioventù.
Un lungo elenco di laici, religiose e sacerdoti che davvero hanno cambiato le caratteristiche della popolazione: non dimentichiamo mai che il bene fatto e ricevuto trionfa sempre su ogni cosa!
Torniamo a noi, con ciò che ho visto e trovato quando sono arrivato in questa comunità come viceparroco il 5 ottobre 2003, ad un mese dalla mia ordinazione. Una parrocchia formata e ben organizzata, capace di rispondere a tante esigenze, dotata di tante forze e di una immensa generosità: buoni parroci e validi collaboratori, il catechismo e le molte attività, belle celebrazioni, la domenica, a Natale e a Pasqua… ma continuamente sentivo parlare della festa e della fiera di San Marco.
Arriva il giorno atteso e, come nuovo arrivato, don Lucio Filippi mi fa presiedere la celebrazione con i preti avenzini, ancora in buon numero; i tanti incontri, la cordialità delle persone, la pesca di beneficienza cominciano ad incuriosirmi. Ma il tempo corre veloce, passano preti e persone, sarà solo con don Alberto Silvani che a questa festa inizieranno a partecipare i preti viciniori. Rimasto io a guida di questa parrocchia, che ancora conta undicimila abitanti, e calati tristemente di numero i preti oriundi, gli inviti alla festa iniziano a moltiplicarsi: vescovi e cardinali, preti, diaconi e seminaristi, che sorprendono i presenti nel loro passaggio per l’ingresso alla S. Messa Solenne.
Talmente numerosi che non bastano più i posti nella grande sala della “Casa Pellini”, spesso oltre cinquanta invitati al pranzo comune preparato con gaudio dalle signore che volentieri offrono il loro giorno di festa per noi. Il Coro con la bella voce del prezioso organo ”Serafino Paoli” del 1852, la Confraternita, gli Scout, i bambini, tutti presenti per rendere più bello questo giorno. Come non ricordare la grande pesca di beneficienza che ogni anno permette alle famiglie di offrire tanti oggetti a fin di bene, che, una volta selezionati, contribuiscono ad aiutare i tanti bisogni della comunità parrocchiale.
San Marco 2020: sarà una data da ricordare, con un paese silenzioso, senza la possibilità di fare festa. Cosa ci sarà? Certamente la S. Messa trasmessa in streaming, come ormai da diverse settimane, che ancora ci farà vivere la dimensione essenziale di Chiesa domestica. E, sempre in casa, perché no, un pranzo preparato con cura per celebrare comunque la festa.
Nonostante la consapevolezza che il 25 aprile ci proietterà tutti alle “edizioni passate”, e, sicuramente ci procurerà un po’ di nostalgia e l’amaro in bocca, ciò che non dovrà mancare sarà l’impegno di tramandare e progettare i prossimi anni. Sono convinto che il profumo della torta di riso in cottura avvolgerà dolcemente le vie di questo antico borgo, vincendo la malinconia.
Marino Navalesi