Dante Aligheri. La poesia è conforto e forza per uscire  da ogni selva oscura

Il 25 marzo è stato celebrato il primo Dantedì

Domenico di Michelino, “La Divina Commedia illumina Firenze”, 1465. Firenze, Cattedrale di Santa Maria del Fiore.
Domenico di Michelino, “La Divina Commedia illumina Firenze”, 1465. Firenze, Cattedrale di Santa Maria del Fiore.

Da tempo si lavora a preparare il settimo centenario della morte di Dante avvenuta a Ravenna nella notte tra il 13 e 14 settembre 1321; aveva appena finito il Paradiso. La Giornata celebrativa di Dante il 25 marzo (data che gli studiosi individuano come inizio dell’immaginato viaggio nell’aldilà) era stata istituita già prima dal governo, ma ora condividere tutti insieme la bellezza suprema dei versi della Commedia è conforto e forza per uscire dalla “selva oscura” in cui si è smarrito il mondo intero contagiato da un virus sterminatore. La Rai, i giornali, le istituzioni culturali, politiche e dello spettacolo hanno divulgato iniziative.
L’Archivio di Stato della Spezia ha esposto le Tabulae redatte a Castelnuovo Magra il 6 ottobre 1306 in cui Dante firma per conto dei Malaspina la pace col vescovo-conte di Luni. E’ l’unico documento biografico di Dante al di fuori di quello che ci dice lui stesso nelle sue opere. C’è stata molta partecipazione degli studenti al Dantedì, dove e nei modi che l’emergenza rende possibile con le scuole chiuse.
I ragazzi hanno capito che la poesia, la cultura sono anch’esse Vangelo di salvezza, contano, danno entusiasmo. Si sono sentiti protagonisti, hanno scelto e letto canti della Commedia in cui si sono riconosciuti nella parte più intima e riflessiva di se stessi. Interrogando Dante hanno trovato risposte che parlano alla coscienza e al cuore, la poesia infatti è eterna e universale, è fantasia che prende corpo e esplora e trasfigura la condizione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo.

Dante Alighieri (1265 - 1321)
Dante Alighieri (1265 – 1321)

Dante ci ha lasciato in eredità un libro “che ancora ci affatica e ci commuove” e ha bisogno di noi: senza chi la leggesse la Commedia non esisterebbe. Dante da vivo immagina un suo viaggio nei tre regni dell’oltremondo cristiano, è in una situazione gravissima di errori e di dubbi suoi personali e della società del suo tempo, lacerata da divisioni e corruzione morale. L’Italia è diventata “bordello” dove si pratica violenza e odio, il mondo intero è rovinato dalle tre allegoriche bestie che sbarrano anche al poeta la speranza di salvifica salita al colle inondato dalla luce della primavera, quando il Sole è in Ariete come lo era stato nella creazione e avvio della macchina-mondo: le tre fiere lo respingono là dove “il sol tace”, simulacri di lussuria, superbia e soprattutto dell’avidità mai appagata di beni materiali (pensiamo all’odierno capitalismo finanziario che distrugge gli equilibri della natura con conseguente insorgenza di nuovi mostri, aumenta in modo pauroso le distanze sociali).
Per uscire salvo da una situazione durissima Dante impegna tutte le sue risorse di raziocinio e di conoscenza, non è “turista” che scende nella voragine infernale, risale la montagna delle sette balze e ascende fino al cielo empireo, è un narratore coinvolto interamente nei tormenti del peccato, purga i suoi errori e arriva alla perfetta letizia di vedere Dio. Nel suo cammino esistenziale è guidato dall’impegno totale della sua ragione, ma non basta, serve la luce della fede per capire il mondo della trascendenza e arrivare a Dio, sintesi di tutto quello che nell’universo “si squaderna” e“amor che muove il Sole e l’altre stelle”, aiutato da Maria Vergine e Madre, umile e alta più di ogni altra creatura.
La visione finale inonda Dante di luce, un “fulgore” gli fa capire tutto, con esattezza geometrica: in Dio le contraddizioni si risolvono (la quadratura del cerchio, Cristo in cui vero uomo e vero Dio si compenetrano) e anche è superata la relatività e fragilità dell’uomo Dante e forse anche un poco la nostra. Rimane il dramma di ogni grande poeta: la parola è inadeguata a dire fino in fondo l’illuminazione interiore raggiunta. Salendo “dall’infima lacuna dell’universo” ha visto e giudicato le condizioni umane una ad una: i peccati dei dannati provocati da impulsi nefasti o da volontà di delinquere (violenza, fraudolenza distinta ed espiata nelle dieci malebolge infernali e nel gelo che incastra i traditori) fino a contatto diretto con Lucifero per poi risalire a rivedere le stelle alle falde del Purgatorio.
La seconda Cantica della Commedia è quella che esprime più direttamente che vivere è esilio: dalla propria casa, da Dio, dalla verità, dall’infinito. C’è malinconia ma non disperazione, c’è sentimento del tempo, di durata della pena (assente invece nell’eterno dolore dell’Inferno o nell’eterna beatitudine del Paradiso), c’è un cammino di ascesa nel tempo di anime “non più e non ancora”: rammaricate per il tempo sprecato, grate di aver fatto in tempo a pentirsi, legate ancora agli affetti e dolori terreni, non ancora beate nella luce e nella musica celeste.
Virtù contro peccato è il percorso nelle strette mensole che resecano la montagna. La poesia sussiste per se stessa, non deve sostenere ideologie o trattati di morale, crea immagini libere e originali: le anime “ben nate” del Purgatorio espiano meditando su esempi di punizione di atti di superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola e lussuria e sui premi alle virtù che vi si contrappongono. A guidare la nostra umanità, mentre captiamo quella vertiginosa di Dante, ha dato una mano anche il Dantedì: hoc erat in votis.

Maria Luisa Simoncelli