
Scritto nel 1935 e pubblicato nel 1976 da De Felice insieme ad uno di De Ambris

Il più grande storico del fascismo e autore della monumentale biografia ragionata di Mussolini è Renzo De Felice, ha dedicato quaranta e più anni a raccogliere e studiare ogni fonte storica su tanta e difficile materia. Curò nel 1976 per La Nuova Italia “Quattro Testimonianze” su Benito Mussolini: sono di Alceste De Ambris, Luigi Campolonghi, Mario Girardon, Maria Rygier, scelte per soddisfare un rinnovato interesse del pubblico a conoscere gli scritti coevi più significativi sul capo del fascismo.
Furono scritte negli anni in cui il Duce in Italia e all’estero godeva le maggiori simpatie e consenso. (Qualcuno ricorderà che per aver intitolato nel 1974 “Il Duce. Gli anni del consenso 1929-1936” il professor De Felice fu vilmente contestato alla Sapienza a Roma perché agli antifascisti di sinistra degli anni della contestazione non quadrava riconoscere la verità storica che il Concordato e la nascita dell’Impero dell’Africa Orientale avevano procurato un diffuso apprezzamento del fascismo). De Ambris e Campolonghi, massoni e in esilio per la loro militanza socialista non riuscivano a dare sbocchi concreti alla propria azione e vedevano diminuire molto la loro influenza sulle comunità italiane all’estero.
Per contrastare l’immagine falsificata della realtà italiana che la propaganda fascista aveva diffuso in molti ambienti stranieri si ricorse soprattutto alla polemica personale. De Ambris scrisse un breve saggio che rimane un titolo valido nella bibliografia: il socialista rivoluzionario di Licciana Nardi si propone di tracciare non gli avvenimenti che portarono Mussolini al potere dittatoriale, ma insiste sugli aspetti più negativi del suo profilo morale.

Nella prefazione del libro De Felice riconosce che, “nonostante tutti i loro limiti, questi testi hanno ancora oggi un loro interesse”, sono stati utili a lui e già avevano offerto a storici come Salvemini e Tasca significativi “elementi e suggestioni di prima mano”. La testimonianza di Luigi Campolonghi De Felice la sceglie per la novità, scritta in francese nel 1935 alla vigilia della guerra d’Etiopia, non fu mai pubblicata, tradotta in italiano porta il titolo “Il fascismo italiano raccontato dai fascisti. Dall’armistizio alla marcia su Roma”.
Il pontremolese esule Campolonghi, schierato su posizioni di antifascismo democratico e anticomunista, vicino alle attività della Concentrazione antifascista di Parigi, affronta il problema della nascita del fascismo e della conquista del potere, dichiara di non voler fare Mussolini oggetto del suo libro, ma di mettere a nudo la falsità dell’immagine dell’Italia dopo l’armistizio di Vittorio Veneto. Buona parte del suo scritto però è costituita da un profilo della psicologia e della carriera politica del “duce”, colpisce soprattutto la personalizzazione del fascismo in Mussolini, usando come fonte i racconti, le confessioni, i documenti forniti dagli stessi fascisti.

I titoli dei paragrafi sono altrettante etichette del personaggio: renitente alla leva ripara in Svizzera e ha guai giudiziari, espulso, agitatore, capo socialista, da neutralista ad acceso interventista, guerriero ma non in trincea, utilizzatore dei Fasci di combattimento e della marcia su Roma per la conquista del potere personale. Campolonghi spiega chiaramente le due grandi crisi del dopoguerra: economica e nazionalista della “vittoria mutilata”. Mussolini si inserisce prima fra gli operai che nel “biennio rosso 1919-1920” occupano le fabbriche, poi diventa il difensore più deciso dell’ordine borghese.
La reazione fascista contro il mondo operaio e contadino e gli scioperi generali è facilitata dal “vuoto di governo” tra il 1919 e il 1921. Giolitti lascia fare allo squadrismo fascista le spedizioni punitive e gli incendi, lo incoraggia furtivamente dopo che i socialisti avevano rifiutato di partecipare al governo. La validità del giudizio critico di Campolonghi si rivela nell’insistita denuncia della mancata volontà di accordo tra i gruppi politici socialisti (riformisti, massimalisti e comunisti), radicali e popolari di don Sturzo.
Nelle elezioni del 1921 disponevano dei 5/6 della Camera. Se non ci fosse stata la pregiudiziale ideologica tra i popolari (per altro molto avanzati in campo sociale) e i “rossi”, si sarebbe potuta formare una solida maggioranza capace di esercitare il potere con autorità. Il mancato accordo “sarà la causa del futuro trionfo del fascismo” “conseguito e sviluppato, con ardore accresciuto, nelle piazze e nelle campagne”.
Nel blocco del conservatorismo politico e sociale si succedono Nitti, Bonomi e poi vennero ore tragiche e decisive con un governo “presieduto da un uomo cui un ironico destino aveva imposto il nome di Facta”: ad un amico che lo richiamava a contrastare il pericolo delle sempre più provocatorie violenze fasciste rispose “Nutro fiducia” e come lui le classi dirigenti e il re. “E il fascismo partì, ma per andare a Roma” .
Se il naso di Cleopatra fosse stato più corto tutta la faccia della terra sarebbe cambiata, diceva Pascal. Ma la storia non si fa con i “se”!
Maria Luisa Simoncelli