
In altra pagina del giornale scriviamo in modo dettagliato del rumore suscitato dal libro firmato dal Papa emerito Benedetto XVI e dal card. Robert Sarah sul celibato sacerdotale. In realtà, mentre stiamo scrivendo, sono apparse autorevoli smentite di fonte vaticana sul diretto coinvolgimento di Ratzinger nella stesura del libro: questi avrebbe consegnato al cardinale un testo, ma in via riservata, non con l’accordo che venisse pubblicato. Sarah, da parte sua, ha ribadito l’assoluta correttezza seguita negli accordi con il Papa emerito.
Qui vogliamo, però, affrontare soprattutto il problema dei continui attacchi cui è sottoposto Papa Francesco, fin da quando, si può dire, si è affacciato alla loggia di S. Pietro per l’annuncio della sua elezione. Anche solo andando a mente, si può ben ricordare il momento del tutto particolare in cui si era svolto il conclave.
La rinuncia di Ratzinger, preso atto che “nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo”.
Diversi furono i commenti sui gravi problemi emersi nel corso del suo pontificato e subito si disse della necessità di scegliere un cardinale che, da papa, sapesse affrontare la situazione. Così fu salutato, almeno da chi era in buona fede, il nuovo papa preso “quasi alla fine del mondo”.
Da qui derivano due considerazioni principali. La prima riguarda l’adeguamento ai ‘tempi nuovi’ che stiamo vivendo. C’è davvero qualcuno che pensa che si possa procedere mettendo delle toppe ai buchi che si aprono con frequenza quasi quotidiana? Non ci si rende conto che, giusto o sbagliato che sia, in due secondi le notizie rimbalzano ai quattro punti cardinali e che, se false, una volta uscite, è una fatica immane correggerle, posto che ci si riesca (vedi sopra)?
In tale situazione, quella della chiarezza e della decisione sembra essere l’unica via possibile per mantenere e ottenere credibilità. Ma questo vale per qualsiasi azienda.
Parlando della Chiesa, il confronto – in alcuni casi, addirittura, lo scontro – tra ‘conservatori’ e ‘progressisti’ non è una grande novità. Quello che maggiormente infastidisce, però, è il fatto che ci siano diverse valutazioni in base a quello che i papi dicono o fanno.
Nei pontificati precedenti, quando i ‘progressisti’ si lamentavano delle decisioni vaticane, il ritornello era sull’insindacabilità del Magistero; oggi scopriamo che il Magistero va bene solo fin quando accontenta le posizioni più conservatrici, se va oltre, si può – o si deve – criticare, fino a mettere in discussione la stessa figura del Papa. E che si cerchi in tutti i modi di “tirar dentro” alle diatribe il Papa emerito non è di certo esempio di stile.
Antonio Ricci