In Camerun per fare da papà a chi non ce l’ha più

Da cinque anni Mauro Cavicchioli lavora ad un progetto a favore dei ragazzi carcerati: accogliere e reinserire. Con l’idea di arrivare a gestire un istituto penale che non sia solo punizione

03cavicchioli_camerun_carcereSono tornato ad incontrare Mauro Cavicchioli che, da 5 anni ormai, sta sviluppando un progetto sempre più ambizioso in Camerun. Inizialmente l’idea era di andare nelle carceri, dare un piccolo aiuto a tutti (i bisogni sono tanti e le risorse poche!) e concentrarsi poi sul futuro dei ragazzini carcerati, invitandoli a far parte di un cammino educativo, una volta usciti.
Ora che esistono due case, una delle quali autosufficiente economicamente (grazie ad un allevamento di maiali), c’è addirittura la possibilità di arrivare a gestire un istituto penale, cambiando l’idea sbagliata di carcere come punizione, che diventa poi una tortura, per le condizioni pessime di vita in quei luoghi. Un passo in questo senso c’è stato, innanzitutto, col riconoscimento governativo dell’Associazione Papa Giovanni XXIII come entità che svolge un’azione sociale utile.
Quindi, ora anche i giudici camerunensi possono indirizzare a Mauro ed alla sua equipe ragazzini che magari hanno commesso piccoli reati ed hanno bisogno di un cammino educativo. E qua sta la bellezza che Mauro sa di poter vivere: il dono di Dio di poter essere padre per questi ragazzi.
Mi racconta che in Camerun esiste un concetto forte di famiglia, anzi, nei piccoli villaggi si considerano tutti fratelli e quindi si aiutano molto, ma quando una famiglia si sgretola, per qualche motivo, specie nelle città più grandi, talvolta qualche ragazzino si perde, va a vivere in strada, crede di essere libero ma viene sfruttato e magari anche violentato.
I ragazzi accolti e educati da Mauro, poi, tornano in strada a mostrare agli altri giovani che esiste una speranza di vita diversa; così, ora 20 persone dell’equipe ne gestiscono altre 30 e vanno a trovare circa 2.000 persone in carcere (di cui 100 ragazzini e 50 donne), per togliere la scabbia o i pidocchi che le devastano, per dare qualche aiuto materiale e per spiegare che ci può essere un futuro onesto e sicuro per loro, se sono disposti a cambiare strada, in un cammino non facile, anche alla luce del Vangelo.

Mauro Cavicchioli con la figlia Lorella
Mauro Cavicchioli con la figlia Lorella

Ho incontrato anche Lorella, l’ultima figlia di Mauro, che è andata a trovarlo recentemente, per capire concretamente cosa accade laggiù.
La sua è stata un’esperienza forte per una ragazza di 20 anni, un vivere cose diverse ma anche belle, ad iniziare dall’accorgersi che gli accolti nelle case cantano spesso, affrontano la vita con gioia fin dalle 5 e mezzo del mattino, ora della sveglia che precede di poco la partecipazione alla S. Messa, la lettura ed il commento al Vangelo ed i lavori in casa.
Mi racconta che il momento dei pasti è anche condivisione di problematiche, si cerca di dialogare, di far emergere ogni piccolo problema. Mi ha raccontato anche l’esperienza dura di visitare un carcere, con “quelle voci dei detenuti, tutte in un colpo, che ti arrivano addosso all’entrata”, in una specie di girone infernale.
C’è chi cerca di vendere qualcosa, chi prepara il cibo, chi dorme anche per terra, con la fogna a cielo aperto che attraversa questo grande cortile che ospita tutti, grandi e piccini.
Tutto questo, mi confessa, “fa pensare alle cose importanti nella vita e mi ha fatto aumentare la voglia di partire e donare me stessa agli altri”. Difatti sta per iniziare un periodo di lavoro nei cosiddetti “caschi bianchi”, probabilmente in aiuto di un centro per minori in Brasile. Che dire quindi? Buon viaggio Lorella!

Stefano Bonvini