Giuseppe si alzò, nella notte

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Sir 3, 3-7.14-17, Col 3,12-21, Mt 2,13-15.19-23

48fuga_in_EgittoGiuseppe si alzò, nella notte. Ancora lui, uomo di notti che parlano, nei sogni, il linguaggio di Dio. Ancora Giuseppe, a strappare dalla notte gli indizi per salvare il Salvatore. Ancora Giuseppe, di notte e di sogni che parlano spolverando di stelle abiti rattoppati. Ancora Giuseppe, come l’altro Giuseppe, uomo di sogni antichi come antico era il testamento. Ancora Giuseppe, angelo dalle mani callose, falegname, artigiano dei sogni. Giuseppe, maestro d’arte, interprete silenzioso e maestoso, solenne e dimesso di quel desiderio di vita che è desiderio divino, desiderio che si ripete, stagione dopo stagione, dentro le trame dell’umano cercando obbedienze in grado di stringere alleanze.
Giuseppe si alzò nella notte. La notte torna ad essere buia e lunga e fredda e vuota, come quasi tutte le notti del mondo. Il buio stende la sua coperta e il silenzio cancella ogni differenza tra la santa famiglia e tutte le altre famiglie del mondo. Che forse non sono sante ma che, certamente, condividono le stesse notti. La vera differenza è che Giuseppe, nella notte, si alza. E questo è un messaggio di bellezza e di speranza per tutti noi. Quale il sogno di Dio sull’uomo? Che l’uomo, nella notte, non perda mai il coraggio, la sfrontatezza, la forza, l’incoscienza di alzarsi. Come il sole che sorge, come il primo mattino di pasqua, come la ribellione di Mosè contro il faraone, come la risurrezione di Cristo contro la morte, notte per eccellenza. E allora capisci che gli angeli e le stelle comete e le voci e i magi erano solo un grande luminoso avvicinamento per momenti come questo, luci colorate per dare la forza all’uomo, nella notte: Giuseppe, alzati.
Prendi con te il bambino e la madre. Non so esattamente cosa significhi “famiglia santa”, però ciò che rende santo Giuseppe è anche questa sua capacità di “prendere con sé”. Che poi è la capacità di Abramo, di Mosè, di tutti gli uomini di buona volontà… mani che proteggono, custodiscono, trascinano, sorreggono.
Fuggi. Perché nella vita si può anche fuggire, e non è gesto di umiliazione ma di obbedienza. Perché occorre amare la vita così tanto da saper assecondare i venti di tempesta se questi rischiano di spezzare gli alberi del veliero.
Resta là. La famiglia santa è la famiglia che resta. Restare, a presidiare una speranza. Saremo famiglia santa se non smetteremo di stare, semplicemente stare, anche nella terra straniera, nella terra di altri faraoni, nella terra in cui i figli non ci ascoltano e i gesti educativi sembrano miseramente falliti… Restare là, in terra straniera, con la nostalgia che preme in cuore ma anche con la consapevolezza di aver fatto la volontà di Dio. In attesa di poter rientrare, finalmente insieme, in quella promessa terra che ci spinge al cammino.

don Alessandro Deho’