
Domenica 20 ottobre. XXIX del Tempo ordinario
(Es 17,8-13; 2Tm 3,14-4,2; Lc 18,1-8)
Una vedova, simbolo di chi è senza difesa, chiede a un giudice di farle giustizia; ma quel giudice, dice Gesù, “non teme Dio né ha rispetto per gli umani”. È un pessimo giudice, che non ha la minima intenzione di esercitare la giustizia in favore di quella donna. Ciononostante, vinto dalla sua insistenza, per non essere più tormentato, decide di esaudirla. “Se accade così sulla terra da parte di un giudice al quale non importa né la giustizia umana né la Legge di Dio, Dio che è giudice giusto non ascolterà forse le suppliche e le grida dei chiamati da lui a essere suo popolo, sua comunità e assemblea in alleanza con lui? Tarderà forse a intervenire?”.
La comunità di Luca, assieme a molte altre nella storia, comprese le nostre, vede che l’ingiustizia continua a regnare, nonostante le preghiere, e nulla sembra cambiare. “Io vi dico che farà loro giustizia prontamente”. Il giudizio di Dio verrà su tutti, in fretta, anche se a noi umani sembra tardare.
La perseveranza nel pregare ha i suoi effetti: non è inutile. Dio è un giudice giusto, ma esercita il giudizio in un modo che non conosciamo. Quando cerchiamo di vedere l’azione di Dio nel mondo, e soprattutto sugli altri, siamo resi ciechi dal nostro egoismo.
La fede e la preghiera sono strettamente connesse, sono l’una la conseguenza dell’altra. Da qui nasce un’ultima domanda, non retorica: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Anche noi temiamo che la nostra fede venga meno. Dio non abbandona certo la sua Chiesa, ma noi possiamo farla diventare non-Chiesa, diminuendola e facendola dissolvere nella mondanità, allontanandola da Gesù Cristo.
Molti, anche nella nostre comunità, pensano che la fede sia più o meno il fatto di credere ai dogmi, accettandoli senza discutere. Invece è una relazione tra noi e Dio, profonda, che si nutre di preghiera. Pregare sempre non è facile.
Tutti siamo consapevoli della difficoltà della preghiera continua, particolarmente nel nostro tempo convulso. Anche perché abbiamo capito che, molto probabilmente, le cose non andranno esattamente secondo i nostri desideri. Viviamo in una cultura della scienza onnipotente e immediatamente efficace.
Ci aspettiamo tutto e subito. Ci riteniamo così autonomi da considerare inutile rivolgerci fiduciosamente a Dio, abbandonandoci alla sua volontà. Dobbiamo anche guardarci da una preghiera farisea, in cerca di garanzia e di meriti per noi stessi. Quella non è la preghiera cristiana. Quest’ultima nasce dall’ascolto della voce del Signore che ci parla.
Gesù ci chiede di lasciarci aprire le orecchie per accogliere la Sua Parola. Quando accade, la preghiera diventa invocazione del suo amore, manifestazione di lode, confessione, e cresce, e cambia con noi. Ognuno ha il proprio modo di pregare. Nessuno può giudicare il modo di pregare degli altri. La preghiera cristiana è insistente, perseverante, è pensare con Gesù Cristo, è dialogo con lo Spirito che consola e sostiene. Non è necessario ripetere costantemente formule, ma pensare – tutto – alla presenza di Dio.
Pierantonio e Davide Furfori