
Neppure il tempo di elaborare il dolore per le due innocenti creature ammazzate di botte in famiglia, a Milano e a Cassino, che prende a circolare la notizia dell’uccisione di Leonardo, neanche venti mesi, anch’egli vittima di una violenza inaudita fra le mura di casa a Novara. Morti crudeli, incomprensibili che inducono a chiederci che cosa si celi di disumano dietro a tutto questo. La famiglia, così, non è più nido di affetti, ma groviglio di serpi sopraffatte dagli istinti e dalla rabbia.
Demoni pronti ad agire, magari sotto effetto di sostanze, alla faccia di chi sottovaluta la portata dei drammi causati dall’uso degli stupefacenti e dell’alcol. In costante aumento. Una realtà feroce che, accanto all’indignazione, ci induce ad interrogarci sul tipo di società che abbiamo costruito. Che cosa sta accadendo alla nostra umanità se il pianto, il ridere, il gioco, l’esuberanza di un bimbo, che dovrebbero indurre alla gioia, possono essere soffocati con la mano di Caino?
Bambini come strumenti, come merce ingombrante da buttare via. È allarme vero. La morte di Mehmed, di Gabriel, di Leonardo e di altri prima, è occasione imperdibile per recuperare il valore della vita. I piccoli lo rivelano. Loro, componenti fragili, hanno bisogno degli adulti per crescere, imparare, vivere sostenuti dall’amore sano. Le loro storie pongono al centro la sacralità dell’esistenza che racchiude un mistero che trascende la vita stessa rendendola indisponibile. Anzi, da custodire, proteggere e difendere, qualunque sia la condizione esterna entro cui prende forma.
Valori che dovrebbero divenire cultura e stili di vita. La loro proclamazione astratta e teorica può “accarezzare” l’orecchio, ma resta inutile e persino farisaica, se non si accompagna a percorsi concreti, sinonimo di progetti umani e civili di società. Le grandi civiltà del passato sono state messe in crisi soprattutto da se stesse: si sono afflosciate, svuotate di anima, per la corruzione, per il dissolversi dei pilastri su cui si erano costruite ed affermate.
Urge rieducare gli “istinti bruti” per arginare il mare di violenza che ci investe quotidianamente, sterilizzata dalla ripetitività ed omogeneizzata sovente dall’indifferenza. È già tardi per ribellarci, impegnandoci concretamente per cambiare la rotta infanticida. I discepoli di Erode, esempio preclaro di sterminio degli innocenti, si stanno moltiplicando velocemente senza risparmiare né ambienti, né culture, né conti in banca. La famiglia è il luogo privilegiato per coltivare la bellezza e il dono di ogni bambino.
Non solo perché in essa si sviluppano e si coltivano le essenze dei sentimenti affettivi e relazionali, ma perché ciò può avvenire generando insieme armonia, benessere psicofisico, serenità e futuro. Se ciascuno di noi accetterà di fare la sua parte, allora potremo indignarci per le tragiche, assurde morti di questi piccoli, indifesi cittadini e per le infinite brutalità che si commettono su di loro, in primis, la pedofilia, senza peccare di ipocrisia.
Ivana Fornesi