Presentato il libro sul frate nato nel 1595 e vissuto tra Alta Val Parma, Lunigiana, Siena e Firenze. Riparte la causa di beatificazione
La parrocchiale di Bosco in occasione delle presentazione del libro
Quanto a Bosco di Corniglio sia viva la devozione nei confronti di Fra Ruffino lo si è percepito sabato 8 giugno nella chiesa del paese dell’Alta Val Parma, ai piedi della salita che porta al passo del Cirone e, da qui, nella valle del Magra. La parrocchiale non ha potuto contenere i fedeli e il pubblico intervenuti alla presentazione del libro “Il venerabile servo di Dio Fra Ruffino dal Bosco di Parma”, curato da Italo Pizzati e che, con numerosi contributi e trascrizioni di documenti originali, delinea la vita e le opere del religioso nato a Bosco il 21 maggio 1596 e morto a Firenze il 9 gennaio 1682.
Fra Ruffino, al secolo Domenico Giacomi, era figlio di Pier Maria e Lucrezia, famiglia che possedeva terreni e bestiame e che indirizzò a soli 7 anni il figlio agli studi per diventare sacerdote. Ma il bambino non si dimostrò “portato”; così “fatte dal maestro per alcuni anni tutte le prove dell’ingegno di Domenico e vedutele vane ne fece consapevoli i genitori” i quali “mutarono consiglio levandolo dalla scuola ed applicandolo alla custodia di pecorelle”.
In quella sua nuova dimensione di pastore, Domenico trovò la propria dimensione, umana e spirituale; qualcuno, secoli dopo, con il rispetto e l’ammirazione che si deve ad un religioso vissuto e morto da santo lo avrebbe definito “un pecoraio che non sapeva il latino” ma capace di tali opere da suscitare la devozione di quanti lo conobbero.
Le reliquie “scoperte” in Ognissanti a Firenze
e oggi conservate nella chiesa di Bosco
La maestà in marmo di Carrara che raffigura San Francesco che riceve le stimmate e fra’ Ruffino inginocchiato alle sue spalle. È stata collocata a Bosco di Corniglio nel 1736.
Nella chiesa di Ognissanti a Firenze una piccola lapide ricorda il luogo dove erano state deposte le reliquie di Fra’ Ruffino nel 1923. Al parroco di Bosco, don Gianni Caimi, si deve il merito di essersi adoperato, con tenacia, per recuperarle e riportarle in Alta Val Parma.
Un’impresa non semplice, per fotruna agevolata dalla indicazione, nel diario della chiesa, del luogo esatto dove cercarle. Poco meno di un secolo fa i resti del frate erano stati esumati dalla cappella della stessa chiesa dove aveva trascorso gli ultimi anni di vita e dove era stato sepolto nel 1682. La presenza della piccola targa marmorea aveva confermato la notizia e, nei primi giorni di gennaio 2005 era avvenuto il recupero, alla presenza dei Carabinieri che documentarono in un video la delicata operazione: un video proiettato nei giorni scorsi nella chiesa di Bosco durante la presentazione del libro e che ha suscitato grande emozione. Aperto un piccolo varco nell’intonaco e nella paretina di mattoni, nello spazio vuoto era un’urna di vetro, chiusa da un nastro rosso e sigillata con la ceralacca: all’interno i pochi resti di Fra Ruffino così come oggi si possono vedere e venerare sotto uno degli altari della chiesa parrocchiale di San Giacomo a Bosco di Corniglio. Dopo quasi quattro secoli Fra Ruffino era finalmente tornato a casa.
A Bosco si tramanda la tradizione di quella fonte di acqua pura fatta zampillare nel prato dove aveva conficcato il proprio bastone e dalla quale, ancora oggi, in tanti bevono “l’acqua di Fra Ruffino”. Poco più che ventenne si recò a Parma, da uno zio materno frate carmelitano dove rimase per un po’, ma fu in Lunigiana – nel convento di San Francesco a Villafranca dal quale provenivano alcuni frati che aveva conosciuto al Bosco – che nel 1621 entrò nell’ordine terziario francescano e, poco dopo, vestì il saio di novizio. Iniziava una lunga vita di frate nei conventi della Toscana; a Villafranca rimase fino al 1650 ma frequentando anche altri numerosi conventi, compresi quelli di Castevoli di Mulazzo, di Poggibonsi, di Prato, di Montaione, di Fiesole, della Verna e quello di S. Bernardino a Siena dove si trasferì nel 1654 per stabilirsi poi, otto anni dopo, nel convento di Ognissanti a Firenze dove già era stato per brevi periodi negli anni precedenti.
Qui muore nel 1682: “Homo di santa vita, dotato di ogni virtù”.