
La Domenica delle Palme nella roccaforte jihadista di Idlib. La guerra ha posto nel cuore dei giovani, non solo cristiani, una grande sofferenza. “Vedo nei giovani una fede che è cresciuta, maturata, che li ha spinti a rifiutare la violenza e a dedicarsi a opere di servizio sociale caritativo”
Anche se obbligati a stare dentro la loro piccola chiesa latina priva di croci e immagini sacre, i giovani cristiani dei villaggi di Knayeh, Yacoubieh e Gidaideh, hanno agitato le palme e pregato per la pace e per la Siria. È stata per loro l’ottava Domenica delle Palme, tante quanti gli anni della guerra che sta devastando il loro Paese.
“Una guerra che nessuno ha voluto e che siamo costretti a subire”. A dirlo è padre Hanna Jallouf, 66 anni, francescano siriano della Custodia di Terra Santa, il parroco latino di Knayeh, nel governatorato di Idlib, ultima roccaforte degli oppositori al presidente siriano Assad controllata dai miliziani aderenti al fronte Hayat Tahrir al-Sham – gruppo jihadista di ideologia salafita, affiliato ad Al-Qaeda ed erede del più conosciuto Jabhat Al Nusra.
Ci tiene a raccontare la Domenica delle Palme, alla quale è tradizionalmente legata la Giornata della Gioventù.
“Tra Knayeh, Yacoubieh e Gidaideh – racconta il parroco che nel 2014 fu rapito dai qaedisti –raduno circa 70 giovani. Vivremo la Settimana Santa con il resto della comunità, circa 800 famiglie. Ma fare i conti con questo conflitto non è facile soprattutto se si è giovani. La guerra ha posto nel cuore dei giovani siriani, non solo cristiani, una grande sofferenza. Tantissimi sono cresciuti conoscendo solo armi, violenza, bombe, non hanno potuto frequentare le scuole, non sanno leggere e scrivere. Sono stati sradicati dalle loro case, allontanati, costretti a emigrare e, peggior cosa, indotti a uccidere l’altro. Soprattutto i maschi. Molti di loro hanno disertato il servizio militare perché affatto convinti della necessità di imbracciare le armi in questa guerra. Di giovani ne sono rimasti pochi e la maggior parte sono ragazze. Ci colpisce molto la tristezza nei volti dei bambini più piccoli”.
Nonostante ciò, aggiunge il frate, “vedo nei giovani della mia comunità una fede che è cresciuta, maturata, che li ha spinti a rifiutare la violenza e a dedicarsi a opere di servizio sociale caritativo. Rimasti attaccati alla Chiesa, alla preghiera e alle liturgie, combattono così la loro guerra contro la mancanza di futuro, di prospettive certe, lottando per alimentare la speranza”.

“La Pasqua – ribadisce – ci dice che la morte non ha l’ultima parola. Questo è ciò che testimonieremo, dopo aver alzato le palme per salutare Cristo e chiedergli speranza e salvezza per noi e la nostra amata Siria”.
Non ci saranno addobbi pasquali a rendere visibile la Pasqua nei villaggi cristiani di Knayeh, Yacoubieh e Gidaideh. Così come non ci sono, oramai da anni, croci, statue e altri segni esteriori sulla chiesa del convento di san Giuseppe. “I jihadisti ci hanno vietato di indossare l’abito francescano” rimarca padre Hanna, che poi rivela: “Ci hanno proibito anche di distribuire dolci la Domenica delle Palme. Non vogliono che facciamo festa. Ma non ci toglieranno mai la gioia della Pasqua. Non potranno mai strapparci la nostra fede in Dio. Ci dicono che siamo infedeli perché crediamo in un Dio uno e trino, in più dei. Ma non importa, proviamo a spiegare loro, di far conoscere i fondamenti della nostra fede, è dura ma restiamo saldi”.
Sono lontani i tempi, prima della guerra, in cui “si poteva fare la processione all’esterno della chiesa e cantare ‘Osanna al Figlio di Davide’, agitare le palme. Oggi i nostri fedeli piangono a quel ricordo” ammette.
Per lenire il dolore dei suoi parrocchiani padre Hanna sta pensando di mostrare loro le immagini via satellite delle celebrazioni del triduo pasquale presiedute da Papa Francesco; “non so se sarà possibile ma certamente per noi la vicinanza del Pontefice è un balsamo. Sapere che nella Chiesa si prega anche per noi ci aiuta a non sentirci soli, abbandonati a questo destino. Sappiamo di fare parte del grande popolo di Dio”. In questi anni di “persecuzione jihadista” la comunità cristiana di Knayeh, Yacoubieh e Gidaideh ha ulteriormente stretto i propri vincoli e si è ancora più unita.
“Alla processione delle Palme – afferma il parroco – partecipano tanti giovani con le famiglie. Molti di loro camminano per chilometri per arrivare qui. Per le persone più anziane, impossibilitate a muoversi, abbiamo organizzato un servizio di auto con dei volontari che vanno a prenderle a domicilio”.
Domenica anche nella roccaforte jihadista di Idlib si sono levate le Palme e si è fatta festa in attesa della Pasqua: “Con Cristo la morte è sconfitta – ribadisce padre Hanna – non ci toglieranno mai la gioia più grande. E i giovani domenica hanno gridato forte: Non siamo vinti!”.