Oggi meglio nota come San Lazzaro, era luogo di assistenza al guado della Magra fin dall’alto Medioevo. Penalizzata dalla viabilità moderna merita di essere recuperata

Il retro della chiesetta di San Lazzaro (l’antica San Martino) fotografata nel 2017 in occasione del taglio della vegetazione infestante
Il retro della chiesetta di San Lazzaro (l’antica San Martino) fotografata nel 2017 in occasione del taglio della vegetazione infestante

Sulla strada tra il borgo dell’Annunziata e il centro storico di Pontremoli la chiesetta di San Lazzaro (anticamente: San Martino) è un piccolo edificio di impianto medievale ad una navata, ormai quasi dimenticato. Eppure ha avuto una notevole importanza storica ed è stato significativo luogo di devozione. All’attuale stato di degrado e di abbandono, contrastato solo dall’opera della vicina parrocchia dell’Annunziata dalla quale dipende, sembrava si potesse porre rimedio quando nella riconversione commerciale della contigua area dell’ex cementificio fu inserita la realizzazione di un passaggio pedonale per collegare l’area con l’ingresso del borgo. Sentiero che avrebbe lambito l’abside dell’antico edificio e lungo il quale, due anni fa, era stata tagliata la vegetazione così da poter tornare ad osservare da vicino l’architettura; ma oggi il progetto sembra abbandonato e accedere alla chiesetta è tornato ad essere di fatto impossibile.
E ogni anno che passa peggiora il già precario stato di conservazione: tetto – ancora con la copertura a piagne e con i coppi del culmine in parte divelti – lascia passare copiose infiltrazioni d’acqua; la mancanza di vetri nelle monofore dell’abside lascia libero accesso ad animali ed agenti atmosferici; le murature avvolte dall’edera e che necessitano di restauro. All’interno, spoglio e con resti di intonaco nella controfacciata, si accede solo sfidando il traffico che qui scorre veloce nonostante la curva pericolosa. Porre rimedio all’abbandono e al degrado è necessario visto che siamo di fronte ad un patrimonio rilevante, una testimonianza tra le più antiche della storia del territorio.

La facciata della chiesetta lambita dalla strada statale
La facciata della chiesetta lambita dalla strada statale

Di essa si sono occupati alcuni dei maggiori storici locali – Giovanni Sforza e Manfredo Giuliani su tutti – che ci hanno lasciato saggi utili a comprenderne la funzione e l’importanza.
In origine era intitolata a San Martino: dedicazione che rimanda la fondazione ad epoche remote con il Giuliani che non escludeva che potesse essere questa la chiesa di San Martino, citata nella nota lapide di Sorano, fondata nell’VIII secolo dal misterioso personaggio che per convenzione chiamiamo “Leodegar”. Comunque la chiesetta di San Martino ha origini molto remote e legate a quell’antica viabilità oggi quasi del tutto dimenticata ma che ancora si può tracciare grazie soprattutto ai toponimi esistenti.
È sempre Giuliani ad aver rivelato lo svolgersi di uno dei percorsi trasversali più significativi dell’Alta Lunigiana e sul quale la chiesetta di San Martino era punto imprescindibile. L’itinerario metteva in comunicazione la sponda sinistra della Magra con la viabilità lungo la sponda destra, con lo zerasco e l’area ligure e che si può riassumere così: al Groppo della Tavernella (così si chiamava il luogo dove sorge la cappella) si guadava il Magra e si saliva al Groppo Montone da dove si poteva agevolmente raggiungere la chiesetta di San Cristoforo. Qui era il guado sul Gordana lungo il percorso tra Vico e Urceola (ora Saliceto), direttrice nord- sud di notevole importanza.
Dove oggi sorge la chiesetta di San Martino era un alto sperone roccioso, una “lama” che dal monte precipitava nel fiume: il “Groppo della Tavernella” appunto; il sentiero vi doveva passare sopra in posizione elevata rispetto al Magra che qui, alla confluenza con il Gordana, ancora oggi ha un corso ampio e idoneo a quel guado che precedette di secoli la costruzione del ponte poco più a valle. E proprio qui sorsero, probabilmente, “servizi” per assistere quanti dovevano affrontare l’attraversamento o provenivano da esso; dunque “capanne, o mansioni, o ricoveri”, ma anche edifici religiosi per la cura dello spirito. Giuliani ci fa notare come le case costruite nei secoli successivi abbiano lasciato un’interruzione quasi di fronte alla cappella: sarebbe la prova che qui vi fosse una sorta di “servitù” di passo, memoria dell’accesso al fiume e all’antico guado.

L’interno della chiesetta con il piccolo altare
L’interno della chiesetta con il piccolo altare

Orientata liturgicamente, con l’abside a oriente e la facciata a guardare il fiume, la chiesetta di San Martino svolse a lungo il ruolo di punto nodale nei percorsi medievali; almeno fino alla costruzione del ponte di Saliceto, avvenuta a cavallo fra i secoli XII e XIII. L’antico guado perse gradualmente importanza viaria, ma il luogo ne assunse un’altra talmente grande da cambiarne nome; infatti la costruzione di un lazzaretto da utilizzare in occasione delle ricorrenti epidemie di lebbra e di peste fecero affermare la nuova denominazione di “San Lazzaro” e la chiesetta divenne l’oratorio dei malati ricoverati lì vicino.
La costruzione, nella seconda metà del Quattrocento, del grande santuario della SS. Annunziata attrasse totalmente l’attenzione di viandanti e pellegrini e per la chiesetta iniziò l’oblio. Quella posizione, stretta fra la roccia della “lama” e il fiume, ne decretò anche l’infelice destino; l’edificio divenne infatti ostacolo all’ammodernamento del tracciato viario.
Il costone roccioso fu progressivamente smantellato, la strada portata al livello attuale e più volte allargata; l’ultimo ampliamento fu nel 1878; scrive Giuliani “l’oratorio sporgeva sulla curva della strada e, poiché il lato opposto sulla riva era occupato e sbarrato da una linea di case, per togliere l’inconveniente della pericolosa strozzatura… fu necessario scorciare di un metro la chiesetta”. Dunque la facciata che noi vediamo oggi è il risultato di quell’opera di demolizione e ricostruzione in occasione della quale alcune delle pietre e delle sculture che la ornavano, già rovinate dal tempo, vennero rifatte. E possiamo dire che è andata bene: in origine i lavori prevedevano addirittura la demolizione dell’edificio; progetto scongiurato grazie all’opposizione della parrocchia della SS. Annunziata che ottenne di salvare l’edificio pur scorciato di un metro e con la facciata ricostruita più o meno fedelmente come la vediamo oggi.

(Paolo Bissoli)