
Classe 1942 John Irving è giustamente considerato una delle voci più autorevoli ed importanti della letteratura americana, consegnato alla fama da opere come “Il mondo secondo Garp” o “Hotel New Hampshire”, “Sportwriter” o “Le regole della casa del sidro” (con cui nel 1999 vinse anche il premio Oscar per la miglior sceneggiatura non originale per l’omonimo film di Lasse Hallstrom) si caratterizza per l’articolata complessità dei suoi lavori, veri e propri racconti fluviali in cui con capacità di intreccio, che a molti ha fatto ricordare Dickens, sviluppa trame dense di personaggi e situazioni in cui si evidenziano proliferazioni destinate ad imporsi grazie ad una estrema leggibilità con tecniche ed accorgimenti esemplari.
In questo suo ultimo “Viale dei Misteri” (Ed. Rizzoli, traduzione di Giuseppina Oneto pagg. 620 euro 22) ne abbiamo una ulteriore conferma.
In un tempo che possiamo accettare come presente uno scrittore di origini messicane, Juan Diego Guerrero, lascia gli Stati Uniti dove insegna in una università per recarsi nelle Filippine e sciogliere una promessa fatta molti anni indietro quando ancora viveva nel natio Messico. Oggi è uno scrittore molto conosciuto ma le sue origini si collocano in una discarica di Oaxaca dove è cresciuto, figlio di una prostituta e con padre ignoto, accudito da gesuiti che assistono bambini della sua condizione e attratti dalle sue straordinarie doti. Infatti ha imparato a leggere su libri sottratti alla discarica rendendosi abile a parlare molte lingue, ha una sorellina minore (Lupe) che si esprime in un borbottio incomprensibile che solo lui sa decifrare e che possiede l’inquietante capacità di leggere nella mente del prossimo.
Mentre viaggia alla volta della sua destinazione si addormenta frequentemente anche per lunghi periodi e nel sonno i sogni si presentano per raccontargli in sequenza la sua storia. Se già il viaggio, con incontri anche curiosi ed imprevedibili, dà la stura ad eventi e situazioni che di per sé potrebbero costituire un romanzo a parte, è nella ricostruzione del tempo passato che la storia si mostra nella sua parte più fascinosa.
La discarica in cui è cresciuto diventa una vera e propria educazione alla vita che la frequentazione coi gesuiti arricchirà ulteriormente con l’inserimento di altri personaggi che faranno evidenziare ulteriori processi di evoluzione.
Un mondo colorato e tragico dove spesso la morte presenta il conto, come d’altronde la vita, e non potrebbe essere altrimenti visto che la caratterizzazione di quella stagione è intrisa in un coacervo di violenza, ingiustizia sociale e molto altro ancora, con improvvise accensioni di mistica religiosa, superstizione, sessualità, magia, sfruttamento, curiosità e depravazione attraverso le quali Juan Diego potrà trovare la sua strada verso una possibile realizzazione di sé.
Tutto questo avrà dei costi altissimi per un risultato tutto da considerare. Il presente (il viaggio) ed il passato (il Messico) sembrano in fondo unirsi per chiedere il conto del tutto e lo fanno in un intreccio di implacabile coerenza dove tutto si tiene ma anche dove tutto potrebbe o potrà avere indirizzi diversi, alternativi. Giocato con inflessibile abilità il romanzo si fa apprezzare per l’abilità ed originalità dell’intreccio, per la quasi rutilante massa di personaggi che, dai minori ai maggiori, dai protagonisti ai comprimari , si susseguono ed incalzano il lettore per tutte le possibili implicazioni cui la loro “parte” può far pensare.
I toni utilizzati da Irving vanno dal grottesco al comico, dal sentimentale al tragico, dal realista al surreale, attraverso cui diventa quasi impossibile scegliere quello più adatto o consono per ciascuno. Il lettore si troverà travolto e spiazzato ma potrà, dovrà inevitabilmente scegliere accorgendosi forse suo malgrado che a questo punto anche lui è parte coinvolta della storia.
Ariodante Roberto Petacco