
Alti i costi del Reddito di inclusione e dell’aumento delle pensioni sotto i mille euro
Se aumenta il numero dei pensionati e diminuisce il numero di coloro che versano i contributi, il sistema previdenziale non potrà reggere a lungo: non servono conoscenze tecniche approfondite per comprendere questo meccanismo, evidenziato con forza dal presidente dell’ Inps, Tito Boeri, in occasione della presentazione del Rapporto annuale dell’Istituto di previdenza.
Gli squilibri demografici che stanno investendo l’Italia, tuttavia, non paiono al centro dell’attenzione di mass-media e politica. Non è un caso che Boeri abbia affermato che “gli italiani sottostimano la quota di popolazione sopra i 65 anni e sovrastimano quella delle persone con meno di 14 anni”. Il calo delle nascite (nel 2017, con solo 458 mila nati vivi, si è toccato il record negativo dall’Unità d’Italia) è un dato di fatto e una eventuale inversione di tendenza, oltre ad apparire inverosimile, produrrebbe i suoi effetti a livello previdenziale tra 20-25 anni.

Per questo il presidente dell’Inps ha affermato che l’Italia “ha bisogno di aumentare l’immigrazione regolare”. In un Paese che ormai affronta il tema dell’immigrazione in modo isterico, Boeri ha avuto il coraggio di dire la verità. Aggiungendo inoltre che sono “tanti i lavori che gli italiani non vogliono più svolgere”: secondo il Rapporto Inps nel lavoro manuale non qualificato ci sono il 36% dei lavoratori stranieri in Italia e l’8% degli italiani. La prevedibile pioggia di critiche su Boeri (anch’esso, ovviamente, un “radical chic”, come chiunque osi contraddire il verbo leghista in tema di immigrazione) non può nascondere la forza dei numeri e della competenza necessaria ad interpretarli.
Secondo l’Inps, “anche innalzando l’età del ritiro” dal lavoro (che per legge si innalza automaticamente all’aumentare della speranza di vita media), “ipotizzando aumenti del tasso di attività delle donne” (irrealizzabili senza una seria politica di incentivi, servizi e diritti) e calcolando “incrementi plausibili e non scontati della produttività”(impossibili se le imprese non tornano ad investire), insomma: anche facendo tutto il possibile per salvaguardare gli equilibri previdenziali, per “mantenere il rapporto tra chi percepisce una pensione e chi lavora su livelli sostenibili è cruciale il numero di immigrati che lavoreranno nel nostro Paese”.
Senza contare che, secondo le stime dell’Inps, se si riducono i flussi d’immigrazione regolare, cresce inevitabilmente quella clandestina: ogni 10% di immigrati regolari in meno si determina un aumento di irregolari compreso tra il 3 e il 5%. In questo quadro di onesto realismo non c’è spazio per la sterile propaganda.
Al limite c’è spazio per qualche operazione volta a garantire un occhio di riguardo ai lavoratori anziani, ma sapendo bene quali risorse devono essere mobilitate: un abbassamento dell’età pensionabile, secondo l’Inps, avrebbe costi ingenti: passare alla cosiddetta “quota 100” (la possibilità di andare in pensione quando la somma dell’età e degli anni di contributi è almeno pari a questa cifra) costerebbe fino a 20 miliardi di euro all’anno; poco meno (fino a 18 miliardi di euro) se venisse introdotto il requisito minimo dei 64 anni di età. L’Istituto previdenziale si occupa anche di sostegni assistenziali e sottolinea che servirebbero altri 6,2 miliardi, oltre a quelli già stanziati, per raggiungere con il Reddito d’inclusione (Rei) tutti i 5 milioni di poveri assoluti stimati nell’ultima rilevazione dell’Istat.
Riguardo ai pensionati sotto i mille euro (lordi) al mese – 5 milioni 548mila (il 35,9% del totale delle pensioni erogate), in grande maggioranza donne (ben 3 milioni e 686 mila) – eventuali integrazioni a questi assegni avrebbero anch’esse un costo non irrilevante. Insomma, le risorse sono scarse, i bisogni molti ed è compito di chi governa decidere le priorità, lasciando la propaganda da campagna elettorale alle spalle e guardando alla realtà per quella che è.