
Domenica 1 luglio, XIII del Tempo Ordinario
(Sap 1,13-15; 2,23-24; 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43)
Secondo la legge mosaica, il sangue, quando esce da una donna nel mestruo, la rende impura. In quella condizione lei non può toccare nessuno, non può entrare nel tempio e, per purificarsi, deve offrire un sacrificio. Chi la tocca è a sua volta impuro, come un lebbroso. Anche i cadaveri sono impuri, perché il loro sangue si è fermato. I precetti umani, a causa del presunto volere di Dio, avevano innalzato barriere e muri, creato separazioni, definito accuratamente esclusi ed emarginati, per evitare il contagio con qualcosa di mortifero. Misure di precauzione che diventano una condanna…
Giairo, un padre, crede che Gesù possa guarire sua figlia da una grave malattia. Il Signore ascolta la sua richiesta di aiuto e si incammina con lui. Mentre camminano in mezzo alla folla, incrociano una donna, malata di emorragia vaginale. Anche lei crede che un contatto fisico con Gesù, anche solo con il suo mantello, il tallit lo scialle da preghiera, può guarirla. Nessun medico c’è riuscito, ma Gesù può. Così lei crede. Così è.
Tocca il mantello e la malattia scompare. Lei, impaurita e tremante, sa di aver fatto un gesto vietato dalla Legge, rendendo impuro lo stesso Gesù. Scoperta, confessa il suo “peccato”. Ma Gesù, che l’ha cercata tra la folla, udita la confessione, le dice con tenerezza e compassione: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”.
Risale alla volontà di Dio, non si ferma alla superficie dei precetti umani. Abolisce ogni sorta di sacralità rituale. È un ebreo laico, non di stirpe sacerdotale, e spiega che le leggi della sacralità rituale non sono valide se sono in contraddizione con la carità e con la relazione umana.
Amare l’altro vale più dell’offerta a Dio di un sacrificio. Il sangue di un animale offerto in sacrificio non è in grado di togliere il peccato, e il sangue di una donna, versato per il naturale ciclo mestruale, non genera impurità e non la rende indegna di stare con gli altri e davanti a Dio. Gesù curava e guariva i malati toccandoli. Toccare è un’azione obbligatoriamente reciproca: si tocca e nel contempo si è toccati. Toccare è il senso fondamentale, è reciprocità, è relazione.
Entrambe le azioni di Gesù sono unite tra loro dal toccare: è toccato dall’emorroissa e tocca il cadavere della bambina. Infatti, mentre sono in cammino, la figlioletta muore. Per gli astanti, razionali e supponenti, il Maestro non serve più. Dinanzi ad un freddo cadavere, anche Lui si deve mettere da parte. Gesù rassicura il padre: “Non temere, soltanto abbi fede!”. Non gli chiede poco. Vuole che fondi la sua vita sulla Sua parola. Sono azioni vietate dalla Legge, che diventano atti di liberazione e di carità. Entra nella casa. Porta con sé solo Pietro, Giacomo e Giovanni.
Appena entrato, sente lamenti e grida. Caccia tutti dalla stanza e, nel silenzio, prende la mano della bambina e le dice in aramaico: “Talità kum”, “Ragazza, io ti dico: Alzati!”. Lei lo fa. Le prime parole di Gesù sono per ordinare che le sia dato da mangiare. Una ulteriore valorizzazione del corpo, ancora in gran parte da scoprire, anche per noi cristiani. Qui non è il miracolo a suscitare la fede, ma, al contrario, è la fede a rendere possibile il miracolo. Di fronte ad una fede così forte, il Signore non sa resistere.
Pierantonio e Davide Furfori