
Quarant’anni fa negli Stati Uniti e in Francia le prime manifestazioni studentesche e operaie
“Da voi è arrivato qualcosa che stupisce, scuote le coscienze, rinnega tutto quello che ha reso la nostra società ciò che è oggi. È quello che chiamerei l’estensione del campo del possibile. Non rinunciatevi”. Così il filosofo Jean-Paul Sartre si rivolge a Daniel Cohn-Bendit, uno dei leader del Sessantotto francese, in un dialogo pubblicato su Le Nouvel Observateur del 28 maggio 1968.
Ci hanno provato in tanti e a diverse latitudini a praticare quel campo, affollato anche di alcune parole che hanno contrassegnato il Sessantotto: liberazione, emancipazione, diritti, uguaglianza, rivoluzione culturale, occupazione, immaginazione.
Al di là dunque di ciò che possono essere state le degenerazioni, che inevitabilmente accompagnano i grandi cambiamenti nella storia, in quegli anni, fra l’altro, è stato piantato il seme di un nuovo rapporto studenti-docenti all’interno della scuola e in particolare dell’università, dell’accesso alla cultura e a tutti i livelli di istruzione anche da parte delle classi più povere e di quella operaia, che rivendicava maggiori diritti e migliori condizioni di lavoro.
Il movimento del Sessantotto assunse caratteri quasi mondiali, Africa compresa: in Senegal si assiste, fin dal 1957, a dure lotte studentesche. In Germania, Giappone, Messico, Inghilterra, negli Stati Uniti, in Italia, in Francia, i giovani diventano i protagonisti della protesta. Negli USA le proteste giovanili si intrecciano con la contestazione alla guerra nel Vietnam, con gli assassini, il 4 aprile, di Martin Luther King e il 6 giugno di Robert Kennedy.
“Creare una, due, cento Columbia” è lo slogan degli studenti universitari americani che già nell’autunno del 1967 iniziano le loro dure azioni di protesta. In Francia, il Sessantotto non inizia a Parigi ma a Nanterre, quando, nel marzo 1968, alcuni studenti occupano l’università, chiusa, ai primi di maggio, dopo vari conflitti fra studenti e organi di governo. La protesta si trasferisce poi a Parigi, dove gli universitari della Sorbona protestano contro tale chiusura e contro l’arresto di alcuni studenti a Nanterre.
Il movimento studentesco cresce e si salda con quello operaio, entrambi uniti nel perseguire la stessa finalità di una società realmente democratica e senza classi ma anche nella convinzione che né i partiti, in particolare quelli marxisti, né i sindacati siano riusciti a favorire una piena cittadinanza della classe operaia che le garantisca l’accesso all’istruzione, alla cultura e al potere.
Lo studente Cohn-Bendit invita i lavoratori a scioperare e in breve tempo la Francia è paralizzata: il 20 maggio la maggior parte dei lavoratori è in sciopero, vengono chieste le dimissioni del governo e in diversi casi l’autogestione delle fabbriche occupate. Nonostante gli aumenti salariali, la protesta continua e il 30 maggio Parigi è invasa da centinaia di migliaia di manifestanti.
Charles de Gaulle scioglie l’Assemblea generale e indice nuove elezioni; minaccia inoltre di dichiarare lo stato di emergenza se non si pone termine agli scioperi. Ai primi di giugno i lavoratori tornano nelle fabbriche e gli studenti annullano le manifestazioni; la Sorbona, occupata è sgomberata dalla polizia, mentre vengono messe fuorilegge diverse organizzazioni di sinistra.
Nel 2008 Nicolas Sarkozy, nel suo ultimo comizio prima delle elezioni che di lì a poco avrebbe vinto, affermò che rimanevano due giorni prima di liquidare l’eredità del maggio ’68. Oggi di Sarkozy non si parla più se non per qualche suo problema con la giustizia, mentre il ’68 continua a far discutere e anche a dividere fautori ed oppositori. In fondo è quello che i giovani di allora chiedevano: diritto di parola e confronto.
Come qualcuno ha scritto, nel maggio ’68 fu conquistata la parola, come nel luglio 1879 fu conquistata la Bastiglia.
Fabrizio Rosi