Carceri, una riforma insabbiata

16carcereIn questi ultimi due mesi si è parlato molto della necessità di un governo stabile ed autorevole in riferimento ai tanti problemi legati all’economia, al lavoro, al ruolo dell’Italia in campo internazionale. In realtà ad essere messi in difficoltà da una politica incapace di mettere al primo posto il bene comune dei cittadini non sono solo settori della società riferibili agli ambiti sopra ricordati, ma anche parti già di per sé poste ai margini della società stessa.
A dimostrare la verità di questa affermazione può essere chiamata in causa la vicenda delle riforma carceraria avviata dal ministro Orlando, approvata dal Parlamento nel 2017 ed ora bloccata dal mancato inserimento dei decreti attuativi della riforma nei lavori delle Commissioni speciali parlamentari.
Per cercare di smuovere la situazione sono stati lanciati forti appelli: nel mese di aprile, da parte dei componenti degli Stati generali dell’esecuzione penale (che hanno lavorato alla stesura della riforma), poi all’inizio di maggio, da parte dell’Unione Camere Penali, che ha indetto due giorni di astensione dalle udienze degli avvocati penalisti e una manifestazione nazionale.
La mancanza di un governo, come si diceva, non aiuta di certo a risolvere il problema, eppure di nuove misure riguardanti l’ordinamento penitenziario c’è assoluto bisogno. Va ricordato, infatti, che la riforma Orlando viene dopo la condanna dell’Italia, nel 2013, da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti legati al sovraffollamento delle carceri: la Corte impose al nostro Paese di provvedere entro un anno dalla sentenza. Vale anche la pena di ricordare che l’ultima riforma è datata 1975 e riguardava un contesto sociale che oggi non esiste più.
Un esempio per tutti: a quel tempo i detenuti stranieri erano l’1%, oggi sono il 33%. Alla riforma si oppone chi la definisce “salva-ladri” o “svuota-carceri”. Interpretazioni respinte da chi sostiene che essa va esattamente nella direzione opposta: non contiene nessuna ‘liberatoria’ per pericolosi delinquenti, mafiosi o terroristi, non risponde a un criterio indulgenziale, ma elimina piuttosto alcuni automatismi dei benefici e prevede la concessione di misure alternative e permessi premio a seconda della condotta del detenuto. In linea con la Costituzione che bandisce i “trattamenti contrari al senso di umanità” e afferma che le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Ma anche in omaggio al buon senso perché è facile capire che un recluso al quale sia negata la speranza difficilmente potrà uscire dal carcere rieducato. La situazione delle carceri italiane è fotografata dai dati riguardanti i suicidi: nel 2017 sono stati 52, quest’anno sono già 13. Circa dieci suicidi su diecimila detenuti, contro un tasso di 0,51 su diecimila cittadini liberi.

Antonio Ricci