Mons. Sismondo, uno stile pastorale fondato sulla fede e l’amore

Vescovo di Pontremoli dal 1930 al 1954, morì 60 anni fa il 7 dicembre nella Piccola Casa della Divina Provvidenza a Torino

Mons. Giovanni Sismondo (1879 - 1957)
Mons. Giovanni Sismondo (1879 – 1957)

Lo stile pastorale dei venticinque anni di episcopato di mons. Sismondo nella diocesi di Pontremoli è racchiuso nella prima lettera pastorale scritta ancor prima dell’ingresso in diocesi: “Ciò che posseggo darò, cioè un cuore pieno di amore tenero e paterno per tutti, una volontà risoluta di essere tutto vostro, un’intenzione pura di indirizzare tutti i pensieri della mente, tutti i palpiti del cuore, tutte le energie della mia vita a procurare e promuovere la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime”. E questa promessa la dispiegava ogni giorno in piccoli gesti che ancora molti ricordano, come quando passando per le vie della città si fermava a scambiare una parola con tutti e incontrando i bambini per vincerne la ritrosia li chiamava a sé con una caramella oppure quando in campagna discuteva con i contadini questioni di agricoltura. Più nascosta giungeva a lui continuamente un’altra processione, quella di innumerevoli poveri i quali mai – e a volte miracolosamente – se ne andavano a mani vuote.
Riceveva tutti e la sua generosità lo portava a privarsi anche del necessario con piena fiducia nella Provvidenza dalla cui Casa sempre ricordava di essere venuto. “Egli che tanto degnamente incarnò la missione del Vescovo quale vicario dell’amore di Cristo” (mons. Fenocchio) giustificava proprio così la perseveranza nella carità anche quando poteva sembrare imprudenza, dimostrandosi un “vero figlio di S. Giuseppe Benedetto Cottolengo” (mons. Rosa).

Principali lezioni della storia della guerra: “La ribellione all’Autorità è fonte di gravissimi mali”

46sismondo2I disastri più gravi della guerra, per noi Italiani, furono causati dalla ribellione alla suprema legittima Autorità. Infatti donde ebbe origine la sventura delle sventure quale fu quella a cui abbiamo assistito con il cuore straziato da dolori indicibili nel dover contemplare i fratelli a uccidere i fratelli? Non così in Italia dal settembre 1943 alla fine di aprile del 1945? Quale la mostruosa causa di tale dolorosissimo e sanguinosissimo fatto? La ribellione alla legittima Autorità. Tutti coloro che erano dotati di buon senso e intimamente mossi dal dovere dell’obbedienza alla suprema Autorità furono anche sempre persuasi che il Capo dello Stato italiano non ostante avesse lasciato Roma per recarsi in luogo più sicuro, ma sempre in territorio italiano, e per risparmiare alla capitale più gravi stragi e rovine, non aveva per questo né perduta la sua Autorità di Capo né l’aveva abdicata. Tutti sappiamo che il 25 luglio 1943 il Capo dello Stato, accettante le dimissioni del Presidente del Governo, affidava ad un altro l’Autorità. Da quel giorno pertanto il Governo del creatore del fascismo non esisteva più. E quando l’ex Capo, liberato dall’albergo del Gran Sasso il 16 settembre, annunziava di aver ripreso la direzione del Fascismo chiamandolo d’ora innanzi: “Partito fascista repubblicano” e rifiutando la monarchia e assumendosi un’autorità che più non aveva, incominciò a sventolare la bandiera della ribellione. Ed è questa ribellione che divise gli Italiani, schierò gli uni contro gli altri armati e ne seguì quello scempio fratricida che mieté e soffocò nel sangue decine e decine di migliaia di onorate esistenze italiane. Serva di monito a tutti coloro che amano la patria, che essa prospera e grandeggia in misura che cresce e si cementa la volontà dei sudditi ad obbedire, in un cuore solo, alle sovrane disposizioni della legittima autorità. Non dimentichiamo che con la concordia le cose minime crescono, mentre con la discordia le massime svaniscono. Noi, pur troppo, abbiamo subiti i più acerbi mali per la discordia tra noi causata dall’opposizione e ribellione alla legittima autorità. obbediamo sempre alla legittima Autorità dello Stato.
– Mons. Giovanni Sismondo (dalla Lettera Pastorale del 1946) –

Ricchi o poveri, i suoi visitatori non potevano allontanarsi senza ricevere insieme alla sapiente e amorevole parola un dono, anche solo un frutto o un bicchiere del famoso vino di Felice, il fidatissimo domestico. Un’immediatezza che si esprimeva anche nella predicazione: compostezza e serenità interiore si riflettevano nel tono della voce nitida, timbrata, nel gesto misurato ed efficace e nello stile privo di retorica di uno che “ha da dire più cose che parole” (don L. Fugaccia). Attentissimo alla formazione del suo popolo, vide necessaria la rinascita liturgica e catechistica: ecco, allora, il congresso liturgico guidato dall’abate Caronti e il congresso catechistico con mons. Vigna; fu lui a celebrare il secondo sinodo diocesano nel ‘39 e il congresso eucaristico e mariano nel ’37; e come non ricordare l’estenuante lotta con la burocrazia per il riconoscimento del titolo del Liceo Vescovile. Per lui studio e azione pastorale erano sempre stati compagni di viaggio: mentre studiava teologia a Torino era viceparroco a Scandeluzza e mentre insegnava in seminario a Casale dirigeva l’oratorio e il doposcuola; così quando diventò parroco di Moncalvo non esitò a invitare i predicatori più celebri (Semeria e Gemelli per fare due nomi) e fondare la colonia per i bambini a Celle Ligure.

Le opere di un fecondo Episcopato (1930 – 1954)

46sismondo3La carità di Sismondo si concretizzò nella diocesi in molte iniziative concrete che qui possiamo solo elencare in parte. Una cura speciale fu per l’Orfanotrofio Femminile Leone XIII dove trovavano un ambiente sano e sereno bambine orfane e bisognose. Provvide con offerte e con soldi della sua povera congrua alle necessità dell’Istituto che si ingrandì con la costruzione di tre ali con l’aiuto dei fratelli Bocconi e fu allestito un pensionato per ragazze che frequentavano scuole cittadine. Operò per il Seminario, raccomandò di aver cura della salute dei seminaristi insieme alla formazione spirituale e culturale. Superò i grandi ostacoli burocratici per l’equivalenza legale del diploma del Liceo Vescovile aperto anche agli esterni, dopo la costruzione di un nuovo grande corpo. Nel 1935 istituì la Conferenza di S. Vincenzo che durante la guerra collaborò con la Misericordia in opere di carità. Seguì sempre i Ricoveri Vecchi e gli Ospedali della diocesi, si impegnò per risolvere la vertenza dell’Italcementi, volle costituire sezioni delle ACLI e tenne sempre aperto a tutti l’episcopio. (m.l.s.)

Una attenzione particolare riservò all’Azione Cattolica, facendola sorgere in ogni parrocchia (spesso con il suo sostegno economico) e seguendola da vicino. Grande interesse dimostrò verso il mondo del lavoro con la costituzione delle ACLI: non solo come occasione ricreativa ma soprattutto formativa. Quasi ogni anno, per sua volontà, veniva portata a compimento un’opera cittadina: i progressivi ingrandimenti del seminario per il liceo e il collegio, il campo sportivo, l’orfanatrofio.
Pur senza automobile, compì sei visite pastorali, numero considerevole dato il numero di parrocchie e le difficoltà di spostamento che obbligavano a raggiungere molti paesi a dorso d’asino. Si trovavano in lui unite e inesauribili energia e mansuetudine: capace di chinarsi a porgere la mano fino all’ultimo degli uomini e di sollevare il capo e la voce per combattere la battaglia del bene contro il male – come dimostrò durante la guerra o la battaglia per evitare la chiusura della Cementi -. Si distinse nello zelo pastorale anche fuori diocesi quando fu nominato amministratore apostolico di Apuania i cui abitanti aveva accolto già durante lo sfollamento nel ‘44-‘45. Una fede umile e grande gli dava la fermezza di affrontare qualunque sacrificio per obbedire alla volontà di Dio con una semplicità che si può definire eroica: così “sulle orme di Gesù è passato facendo del bene” (don E. Poli).

Don Emanuele Borserini

 

Una vita interiore fortissima, convinta e dedita alla carità

Si raccoglie nella costante virtù della carità la vita del vescovo Giovanni Sismondo pastore di anime, fattasi eroica nel tempo in cui il cielo si oscurò nella barbarie e nella violenza. Così lo presenta Giovanni Giani, ex-allievo e sempre amico e confidente, in frammentarie memorie biografiche da lui raccolte in un opuscolo edito nel 1967, attingendo al Diario intimo, a singolari documenti e al rapporto di amicizia col maestro Sismondo nato negli anni di studio presso il Cottolengo a Torino. Il libro raccoglie solo notizie sicure e documentate sulla formazione culturale e spirituale, sulla genuina personalità di Sismondo nei 25 anni in cui fu vescovo di Pontremoli e sull’ultimo tempo nella Casa della Divina Provvidenza di San Giuseppe Cottolengo dove per 9 anni aveva studiato e pregato e già era stato buon samaritano per i compagni infermi del piccolo Seminario della Famiglia dei Tommasini. “In lui una carità avvincente, umile, altezza della mente aperta a tutte le verità, a tutte le iniziative di bene”: chi lo ha conosciuto trova esatte queste parole, delineano la figura forte e soave, la pratica della buona parola che smorza l’ira. Sismondo esigeva da se stesso e esortava i suoi sacerdoti a farsi capire con parole semplici e chiare in forma persuasiva, lo capivano soprattutto i bambini, sua “particolare delizia”, che ricambiavano affetto e non solo per le immancabili caramelle fornite da Felice Accatino, magnifico assistente e illuminato consigliere del suo vescovo. Il raccoglitore parla di esperienze constatate di persona o accertate da fonti sicure, molto attinge dal Corriere Apuano, riporta atti e discorsi di uomini del clero e delle istituzioni civili in occasione dell’ingresso in diocesi del vescovo il 13 aprile 1930, del Congresso Eucaristico-mariano del 1937, della sua partenza in lacrime il 31 gennaio 1955, della morte il 7 dicembre 1957 e degli affollati funerali della salma rientrata a Pontremoli e sepolta in Duomo. La guida pastorale e liturgica era stata ferma e coerente, gli procurò stima ed esemplarità nei sacerdoti e nei fedeli. Il suo testamento spirituale ha come cardini: comprendere e sostenere tutte le persone nel bisogno (lo fece al massimo nei venti mesi della dominazione tedesca); amare la verità e la fraternità, coraggio di manifestare le proprie convinzioni religiose e morali, stare in relazione anche con chi pensa diversamente, pratica di una carità senza misura e senza confine, diffusione della cultura, assistenza ai malati, assiduità al confessionale, cura della stampa religiosa e dell’Azione Cattolica. (m.l.s.)