
Di una regolamentazione del Web e della necessità di fare i conti con il proliferare di informazioni false o fuorvianti – le cosiddette fake news – si è giunti a parlare in modo insistente in riferimento all’ormai lanciata, anche se non aperta ufficialmente, campagna elettorale.
Non che sia un fatto in sé sbagliato ma, come spesso accade, si ha l’impressione che tutto dipenda proprio dalla voglia di cogliere al volo l’occasione per delegittimare l’avversario politico più che per cercare di affrontare con serietà l’argomento.
Alle origini di questi fenomeni c’è una realtà sociale molto più complicata che nel passato, dove l’overdose d’informazioni, la difficoltà della loro verifica, la rapidità del diffondersi delle notizie, favoriscono il proliferare delle fake news e chi non fa uso del buon senso, magari perché gli fa comodo per motivi ideologici, diviene corresponsabile di questa situazione.
Dire la verità, però, è possibile anche oggi, facendo attenzione a recuperare la capacità di comunicare bene. Una prima distinzione deve essere stabilita tra verità e opinione che, per essere valida, deve essere sostenuta da competenze adeguate, non raccolte all’ultimo momento su qualche pagina di internet. Altra difficoltà è rappresentata dalla scarsa conoscenza dei meccanismi che regolano le piattaforme usate per rilanciare e diffondere notizie online.
I social networks, ad esempio, favoriscono la contrapposizione piuttosto che la mediazione ed hanno la capacità di aggregare solo chi la pensa allo stesso modo, scoraggiando i confronti fra posizioni diverse. Se si prende per buono tutto questo, la soluzione pensata da chi vuole limitarsi a mettere nuove regole, non serve a molto. Anche perché sarebbe davvero difficile punire i trasgressori.
Come in tante altre forme di disagio meglio è educare a capire il problema e motivare a un buon uso delle forme espressive più comuni. Ciò vale soprattutto per i ragazzi: i più esposti alle distorsioni della comunicazione e i più influenzabili da esse.