
Un’analisi di p. Dario Ravera per l’Unitre Pontremoli-Lunigiana
Padre Dario Ravera ha proposto un’analisi dei flussi delle migrazioni, aggiornata sulle statiche, che forniscono dati matematici che non mentono. Per capire il fenomeno non si può stare a considerazioni frammentate, istintuali, di pancia e non di cervello. Serve uno studio interdisciplinare e mai dimenticare che si parla di persone non di merci.
Ognuno di noi, se indaga sulla sua storia familiare, trova qualcuno migrante. Nel 2015 il 3% della popolazione risulta migrante (244 milioni); i grandi poli di migrazione sono verso Asia, Europa occidentale, America anglosassone, Australia e Giappone. Circa il 15% delle persone sono senza documenti, più donne che uomini, in aumento i minori non accompagnati, fuggono da povertà estrema,violenza, assenza di futuro. Cause remote: colonialismo del ‘700-‘800 di Stati europei che occupano territori per sfruttare e rapinare le risorse; 15 milioni deportati dall’Africa come schiavi e messi nelle piantagioni americane.
Dal 1840 al 1890 i migranti partono da Russia, Irlanda, Scandinavia, Germania fino al suo sviluppo industriale quando diventa paese di immigrazione. Dal 1890 al 1914 partono dall’Europa del Sud, il maggior numero dall’Italia verso i paesi industrializzati. Dal 1950 al 1975 9 milioni di sfollati dal Sud al Nord Italia hanno contribuito al miracolo economico, poi tanti ritorni ai paesi d’origine. Invece dal 1991 l’Italia diventa terra di immigrazione, arrivano masse di migranti a cominciare dagli albanesi. Cause vicine: i cambiamenti globali politici, economici, culturali sempre più complessi e interconnessi trasformano i rapporti sociali nei paesi ricchi e creano condizioni nei paesi poveri per maggior mobilità.
Si sono fatte forti le disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo, alcuni paesi sono emersi dalla povertà. I flussi migratori del XXI secolo vanno da Sud a Nord e l’ONU e i governi non sono capaci di risolvere squilibri politici ed economici, crisi regionali, guerre e guerre civili, fame, malattie, violenze. I paesi ricchi hanno meno nati e meno morti, più longevità e benessere e il ricambio della forza lavoro è un problema.
Tre miliardi di persone nel prossimo futuro nasceranno nei paesi meno sviluppati e i paesi ricchi dipenderanno dal lavoro di africani, sudamericani, asiatici per costruzioni, cura degli anziani, servizi. Le dinamiche della forza lavoro sono complicate con costrizione ad accettare lavori precari, sottopagati con nuove forme di schiavitù e di caporalato. Interi settori economici europei dipendono dai migranti: edilizia, cura delle persone (così anche in Lunigiana), raccolta frutta e verdura, pulizie e pure la ricerca scientifica (gli asiatici sono gli informatici migliori al mondo). Serviranno 30 milioni per equilibrio attivi-pensionati.
Le nuove sfide: la prospettiva demografica mondiale, urbanizzazione galoppante, cambiamenti climatici, afflusso di richiedenti asilo, ruolo delle comunicazioni.
L’Europa invecchia, il vuoto delle regioni meno popolate sarà riempito dal pieno dei paesi a maggior densità con persone meno fragili e più giovani (nel Magreb metà della gente ha meno di 25 anni). Desertificazione, 4,5 milioni di persone prive dell’acqua, catastrofi naturali, deforestazioni porteranno all’aumento di 200milioni di migranti entro il 2050. Il diritto di abbandonare un paese è riconosciuto, ma non quello di entrare in un altro paese, deciso dai singoli Stati. Ed ecco muri e frontiere anche nell’area Schengen. Due categorie di migranti: economici, spontanei per migliori condizioni di vita, sono più rassicuranti; i forzati da emergenze, se non sono inseriti possono essere incastrati nella mala vita, nell’urto ribelle, per legge non possono lavorare; in un contesto mondiale di instabilità e disuguaglianze crescenti la distinzione è pretestuosa. I rifugiati nel 2016 sono 65milioni e 50 milioni i bambini costretti a partire. L’Ue ha 508milioni di abitanti, 35milioni sono stranieri. Nel Mediterraneo sono arrivati 343.439, morti in mare 4646, in Italia 167.653.
(m.l.s.)