
Il Senato ha approvato il ddl per i 5.591 territori italiani al di sotto dei cinquemila abitanti.
Ma stanzia appena 15 milioni di euro l’anno: 1,40 euro a persona
Il risultato del voto al Senato: 205 sì e 2 astenuti al termine di un iter durato tre legislature durante le quali il provvedimento era arrivato sempre a un passo dal traguardo senza riuscire a toccarlo, chiarisce, meglio di qualsiasi commento, il valore bipartisan dell’approvazione del disegno di legge che prevede “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli Comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi Comuni”.
La definizione “piccoli Comuni”, riguarda tutti quelli al di sotto dei cinquemila abitanti, che sono 5.591 e rappresentano il 69,9% dei Comuni italiani. Occupano il 54% del territorio nazionale e sono il luogo in cui vivono 11 milioni di persone.
Tra i punti più significativi della legge possono essere citati la possibilità di individuare, all’interno dei centri storici, le zone di particolare pregio dal punto di vista architettonico e culturale, unita alla possibilità di acquisire e riqualificare immobili (tra questi le stazioni e le case cantoniere non utilizzate) per contrastare l’abbandono delle aree più disagiate; l’impegno dei distributori a garantire la vendita dei giornali; la promozione dei prodotti da filiera corta; lo stanziamento di risorse per rendere possibile l’attuazione del piano per la banda ultralarga; uso della rete telematica per il pagamento di imposte e tributi; il collegamento delle frazioni alle scuole e l’informatizzazione di queste ultime; l’istituzione, anche in forma associata, di centri multifunzionali per la fornitura di servizi ambientali, sociali, energetici, scolastici e postali. Opportunità di non poco conto, che mirano all’inversione di una tendenza che, ormai da decenni, ha causato lo svuotamento dei piccoli centri e delle frazioni più isolate.
Un problema che, come è facile riscontrare, ha segnato con particolare violenza proprio territori come la Lunigiana. È lecito aspettarsi che proprio territori come il nostro possano usufruire di questi vantaggi, anche se non abbiamo mai brillato (almeno fino ad oggi) di grandi capacità di unire gli sforzi per sopravvivere. Commenti positivi sono giunti, come appare naturale, da esponenti di rilievo dell’Associazione dei comuni e dell’Unione dei piccoli comuni.
Commentando il fatto ad Agenzia Sir, Massimo Castelli, coordinatore Anci dei piccoli Comuni e sindaco di Cerignale, un comune di 127 abitanti in provincia di Piacenza, ha definito la legge “un primo passo per cercare di invertire il trend devastante dell’abbandono del territorio”.
Per la prima volta “la residenza nei piccoli Comuni diventa un tema di interesse nazionale” e c’è il riconoscimento ufficiale che “l’abbandono e lo spopolamento sono un grave problema e che mantenere vivi questi territori è una priorità nazionale”.
Ora si può cominciare a dire: “basta borghi abbandonati, basta deserti alle spalle delle grandi città”. Da tempo è sotto gli occhi di tutti la difficoltà legata alla residenza nelle frazioni, così come sono ampiamente dimostrate le gravi conseguenze – basta pensare alle ricorrenti frane e alluvioni – che il loro abbandono comporta a livello di difesa dell’ambiente. La speranza di poter vedere i tanti piccoli borghi di nuovo vivi non è certo dietro l’angolo, ma un passo in tal senso può alimentarla.
Tutto bene, allora? Certo che no! Nonostante la chiarezza dell’esito del voto non sono mancate critiche al provvedimento, soprattutto legate alla scarsità dei fondi ad esso collegati. La legge, infatti, stanzia in tutto 100 milioni di euro: 10 per il 2017 e 15 per ogni anno dal 2018 al 2023. Risorse definite nel migliore dei casi “irrisorie” dagli oppositori, “ briciole” gettate come fumo negli occhi dei cittadini.
Si è calcolato che “cento milioni di euro in sette anni per oltre 5.500 comuni con quasi dieci milioni di abitanti fanno circa 14 milioni all’anno per un beneficio pro capite di 1,40 euro”. In poche parole “un’elemosina”. Perplessità ci sono anche nel campo dei sostenitori: lo stesso Castelli afferma: “Chiederemo degli emendamenti nella Finanziaria affinché ci siano cento milioni di euro all’anno, non in cinque anni”, riconoscendo che “la cifra al momento è bassa, ma è passato il principio che sono necessarie delle risorse da investire in questi territori”.
Due problemi si incrociano su questo argomento e la loro soluzione potrebbe giocare un ruolo importante nell’efficacia della legge. Il primo è la piaga dolente della nostra organizzazione statale. Se si sarà solo capaci di creare nuove commissioni di studio e nuovi uffici per vagliare gli interventi – in poche parole, se prevarranno la burocrazia e la corsa alle poltrone – ci sarà poco da sperare che i risultati possano essere positivi. Se, come di solito è accaduto e continua ad accadere da noi, i campanili avranno il sopravvento sul buon senso e sulla volontà di cooperazione tra paesi e comuni diversi, allo stesso modo non ci sarà mai nessuna legge che possa ottenere i risultati attesi.
Antonio Ricci