
Per Lombardia e Veneto un processo che può realizzarsi solo nei limiti dettati dalla Costituzione. L’impressione è che si voglia alzare la posta per mediare col Governo.
In Veneto il 57,2% ha risposto all’appello; in Lombardia i votanti sono stati il 38,2%
I due referendum consultivi di Veneto e Lombardia per ridefinire i rapporti tra le due Regioni e lo Stato italiano di domenica scorsa hanno portato alle urne oltre 6 milioni di elettori. La valanga di consensi per il ‘sì’ era scontata. In Veneto bisognava superare la soglia 50% degli elettori: il 57,2% ha risposto all’appello col 98,1% di ‘sì’. In Lombardia, Maroni aveva posto il limite di riuscita al 34% di votanti: sono stati il 38,2% col 95,3% dei consensi. La più bassa affluenza alle urne si è avuta nelle grandi città come Milano e Venezia.
La richiesta del referendum è stata una prova di forza che non ha ancora i contorni ben definiti. Forse, inizialmente, nelle intenzioni c’era la speranza di qualche venticello secessionista che però deve aver trovato qualche difficoltà ad esprimersi dopo l’esperienza della Catalogna.
In un primo momento, a urne ancora aperte, sia Zaia che Maroni sembravano volersi accontentare di una autonomia basata su quanto contenuto nella Carta Costituzionale, cioè del trasferimento alle Regioni di 23 materie tra cui scuola e istruzione, commercio internazionale, dissesto idrogeologico, tutela dell’ambiente… Però, poi, forti dei sei milioni di consensi, hanno alzato il tiro fino ad avanzare la richiesta della revisione del meccanismo di residuo fiscale (tasse in parole povere) e, il solo Zaia, del riconoscimento, per il Veneto, di uno statuto speciale che renda anche quella una regione autonoma.
Soltanto che queste non sono materie ammesse dalla Costituzione e per realizzarle è necessario arrivare ad una modifica di quest’ultima, con tutti i passaggi richiesti nei due rami del Parlamento. Cosa non solo lunga, ma praticamente impossibile, almeno per il momento, da realizzare. Si ha l’impressione che i due vogliano alzare la posta per andare poi a mediare col Governo. Anche perché se per il governatore del Veneto le cose sono andate bene, non altrettanto è stato per la Lombardia.
E non è detto che l’uno e l’altro sarebbero seguiti dai loro popoli se intendessero forzare troppo la mano. Non tutto, infatti, nello schieramento del ‘sì’ è andato liscio. Dall’analisi che l’Istituto Cattaneo ha svolto in tre città del Veneto (Padova, Treviso e Venezia) e in due della Lombardia (Varese e Brescia) risulta che hanno votato in massa i leghisti – ed era scontato e prevedibile, essendo quella parte politica la promotrice del referendum – ma anche il Movimento 5Stelle.
Per i grillini l’autonomia sarebbe stata “percepita come strumento da utilizzare contro il sistema a cui il movimento si oppone”. Ma emergono defezioni rilevanti nel resto del centro destra: il 20% a Treviso, il 28% a Padova, il 68% a Venezia avrebbe disertato le urne.
Di fronte alla richiesta che i nove decimi delle tasse rimangano all’interno delle due Regioni c’è il netto rifiuto da parte del Governo: “Nessun dispositivo di legge sull’autonomia potrà prevedere un solo euro in più che resti alle regioni”.
In questo momento c’è una strana sintonia tra Renzi, Berlusconi e Grillo. Renzi: “Il vero tema che emerge dal referendum è il peso fiscale. Con la nuova flessibilità diminuiremo ancora le tasse e risponderemo alla richiesta di autonomia, ma camminando insieme”. Berlusconi: “Un federalismo nel solco dell’unità nazionale”. Grillo: “La Lega si deve vergognare nel parlare di residui fiscali che non c’entrano niente; nessuna secessione, nessun isolazionismo, solo l’applicazione della Costituzione senza togliere un euro agli altri territori”.
Evidentemente non c’è solo la Catalogna che incombe, ci sono anche le elezioni politiche sempre più vicine ed i ruoli sono ancora tutti da giocare. C’è anche chi ritiene che il referendum sia stato del tutto inutile e assolutamente non necessario. È evidente a tutti che ci sia da mettere mano ai rapporti tra Stato e regioni e che vada studiata una seria metodologa di efficienza.
Forse la strada dell’autonomia può essere da perseguire, anche se ad oggi le Regioni, a loro volta, non hanno sempre dato una buona immagine di sé. Ma i referendum non sono l’unica strada da percorrere. L’Emilia Romagna ne ha intrapreso un’altra, che sta giungendo al termine, con un percorso del tutto costituzionale con la prevedibile assunzione di molte, se non tutte, le 23 materie previste. È stato un percorso all’interno delle istituzioni locali senza grandi clamori sul quale varrebbe la pena che tutti riflettessero.
Giovanni Barbieri