Abiterò per sempre nella casa del Signore

38vangeloDomenica 15 ottobre, XXVIII del tempo ordinario
(Is 25,6-10; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14)

Dopo quella dei vignaioli assassini, Gesù presenta un’altra parabola agli anziani del popolo, ed ai sacerdoti del Tempio: c’è un re, che fa una festa di nozze per il figlio; il banchetto è magnifico. Il re non ha badato a spese, pur di regalare al figlio, e agli invitati, un giorno indimenticabile. Insiste perché anche i sudditi partecipino alla sua gioia. Alla festa vengono chiamati innanzitutto i nobili, ma questi rifiutano di partecipare, perché occupati in altri lavori, piuttosto banali. Allora la chiamata si allarga ai semplici passanti, buoni o cattivi che siano.
È una festa di nozze: c’è un pranzo luculliano gratuito, e non c’è neppure da acquistare il regalo. C’è solo una condizione: quella di indossare un vestito candido. I primi invitati sono i suoi interlocutori: i capi e il popolo di Israele, i più vicini al Signore, ma questi non accolgono l’invito. Allora la chiamata viene estesa ai pagani, purché abbiano l’abito nuziale, cioè l’impegno alla conversione, il desiderio di tenere lontano il peccato. Già il profeta Isaia aveva descritto il Regno di Dio come un banchetto di grasse vivande, di vini genuini e di cibi raffinati, da gustare senza denaro.
Gesù rivela che siamo tutti invitati, ma troppo spesso ci auto-escludiamo, con pretesti banali e insignificanti. Siamo attratti da altre esperienze, condizionati dagli interessi terreni e dalle tentazioni egoistiche immediate… e umiliamo il re, declinando l’invito. La gioia della comunione con Lui è gettata alle ortiche, perché la vanità e l’egoismo ci abbacinano, presentandoci il miraggio di una presunta felicità a portata di mano, che poi si rivela falsa e insoddisfacente.
Ogni giorno riceviamo il nostro biglietto d’invito alle nozze, ma spesso lo disattendiamo, preferendo le nostre vane preoccupazioni, o perfino il richiamo del peccato. I primi destinatari di questa parabola non sono coloro che non fanno parte delle nostre comunità, che oggi abbiamo imparato a chiamare “lontani”. Siamo noi, i cristiani, convinti di non aver nient’altro da imparare dal Maestro, che, a volte, amiamo tranciare giudizi sullo stile di vita altrui, ma, anche noi, spesso, non vogliamo rispondere positivamente all’invito di Dio e facciamo finta di non sentirlo.
Così a volte la nostra morale “religiosa” diventa una corazza che nessuno può violare e ci tiene lontano dai fratelli, ma anche da Dio. Ogni volta che riceviamo l’invito siamo chiamati a scegliere: o continuare a tirare dritto per la nostra strada, fatta di abitudini e sicurezze, eliminando o evitando tutto ciò che ci richiama ai fratelli, compreso il Vangelo, oppure convertirci, indossare la nostra veste candida, ed entrare, qui ed ora, nel banchetto.
Ma il nostro abito della festa non può essere indossato solo per andare in chiesa e immediatamente dismesso una volta tornati a casa. La veste candida rappresenta la fedeltà all’impegno cristiano: ci dice che la chiamata alla fede non assicura per se stessa la salvezza: la partecipazione alla festa del Regno non è mai scontata. “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”; il segreto per essere eletti è la corrispondenza di ogni scelta della nostra vita all’insegnamento di Cristo e la consapevolezza di tutte le volte che ci siamo allontanati dal percorso che Lui suggerisce.

Pierantonio e Davide Furfori