
Una bella iniziativa della Pubblica Assistenza della Valle del Lucido che si è conclusa nei giorni scorsi con un affollato incontro alla ex Fornace di Monzone.

Conservare il dialetto del proprio paese non è un fatto folcloristico, “ma un elemento fondamentale per mantenere un contatto con le radici della propria storia”. Iniziative come quella della Pubblica Assistenza della Valle del Lucido – ma si ha notizia di altre in atto in alcuni comuni lunigianesi e della provincia – sembrano, pertanto, ispirate e anche utilmente finalizzate “al risveglio di interesse per le nostre tradizioni linguistiche e al superamento del vecchio pregiudizio che considera il dialetto un mezzo espressivo inferiore”, come ha scritto il prof. Walter Pagani, glottologo presso l’Università di Pisa, originario di Filattiera, al cui dialetto ha dedicato approfondite ricerche, che quel Comune ha pubblicato in numerosi volumi, alcuni veri e propri vocabolari.
A Carrara non solo storici della lingua, ma anche cantanti e poeti si esprimono in dialetto e danno la carica alla sua conservazione al motto “Ma adora l’ cararìn dovi è finit?”.
A Massa, per fare un altro esempio, difendono e diffondono il dialetto, utilizzando il sito “Otà”.
Anche sul dialetto di Casola e della Valle dell’Aulella esistono importanti studi. Per non parlare di Pontremoli, dove numerosi sono i cultori del dialetto e dove ad esso sono stati dedicati convegni, studi e molte opere letterarie, in versi e in prosa. E si potrebbe continuare.
Un progetto meritorio
La Pubblica Assistenza della Valle del Lucido, per la seconda volta in 17 anni, ha proposto alle scuole di ogni grado della vallata – materne, elementari, medie – di cimentarsi nella ricerca di espressioni, proverbi, filastrocche, nomi di oggetti, modi di dire nel dialetto, meglio nei dialetti, dei loro borghi e paesi. Il progetto “Scuola – Volontariato P. Rossi” è una iniziativa che la Pubblica Assistenza con sede in Monzone porta avanti, in collaborazione con l’Istituto Comprensivo “A. Moratti”, per ricordare la figura del volontario Piero Rossi, insegnante in pensione, colto da morte improvvisa nel 1999, mentre in sede era intento ai preparativi per la festa del volontario, e con lui tutti i volontari che non sono più, ma che hanno reso importanti servizi alla comunità. La manifestazione nella quale vengono presentati o rappresentati gli elaborati delle varie classi si svolge alla Fornace di Monzone in un salone affollatissimo da genitori, nonni, parenti degli alunni e dà modo al presidente – il cav. Marco Plicanti – di fare opera di sensibilizzazione a favore del volontariato, avendo chiara coscienza del fatto che la miglior conoscenza del proprio territorio, in tutti gli aspetti, accresca l’amore per esso e alimenti la volontà di preservarlo e di renderlo sempre più solidale e improntato all’aiuto vicendevole. È per questo motivo che ogni anno, dal 2000, viene proposto alla Scuola un tema strettamente legato al territorio: le maestà, le fontane, i lavatoi, i personaggi, il lavoro, le erbe, gli eccidi… Quest’anno ancora il dialetto, perché sembra essere a rischio di sopravvivenza: nessuno lo parla più, specialmente i giovani e, ancor meno, i ragazzi. È meritoria, pertanto, l’iniziativa della Pubblica Assistenza, che ancora una volta ha dimostrato l’attaccamento al proprio ambiente e alle sue tradizioni, tanto più in quanto, nel tema proposto quest’anno, ha legato la riproposizione del dialetto al ricordo della sciagura della teleferica del Balzone dell’agosto 1956 con una breve rappresentazione teatrale curata, nel copione e nella regia, da Elisabetta Dini. Ma tutta la manifestazione del 9 giugno, svoltasi alla presenza del sindaco Paolo Grassi, dell’assessora alla Cultura Francesca Nobili e di don Simone, e conclusa con un grande buffet e con la consegna di consistenti premi per l’acquisto di materiale didattico, è stata una grande festa di canti, di cartelloni, di recite e… di dialetto.
Si fa di tutto, insomma, per mantenere una tradizione linguistica, che non vuole certo sostituirsi alla lingua nazionale, ma che “si intreccia strettamente con la storia delle comunità dei nostri paesi e che diventa veicolo per la trasmissione di una cultura non livellata né livellatrice” (W. Pagani). “La cultura della tipicità”, come, sinteticamente, la definisce Renato Bruschi.
Nel territorio comunale fivizzanese qual è lo stato delle cose? Non abbiamo conoscenza di organici studi specifici, ma il dialetto è stato ed è lo strumento linguistico privilegiato da non pochi e bravi poeti che abitavano o abitano nei vari paesi, i cui scritti hanno suscitato entusiastico apprezzamento nelle manifestazioni dedicate alla loro lettura. Al dialetto gragnolino, poi, ha dato lustro Adolfo Bartoli, avendolo usato per raccontare una storia leggendaria.
Ci piace ricordare anche il progetto “Parola Parolo” che le Scuole Elementari e Medie hanno sviluppato alcuni anni orsono, in collaborazione con le scuole di Ortonovo, ottenendo interessanti risultati anche di tipo storico e utilizzabili come “fonti di documentazione per gli studi di dialettologia italiana”.
Certo è che questo patrimonio linguistico, oggetto di attenzione anche dell’Università di Lugano, i cui insegnanti e studenti sono recentemente venuti a compiere ricerche sul lessico e su certe pronunce, deve essere preservato.
Alla Scuola e alle Istituzioni spetta il compito di mantenere in vita la parlata dei paesi, con azioni appropriate.
Andreino Fabiani