Islamofobia: una risposta sbagliata al terrorismo

islamTra domenica e lunedì, nei pressi della moschea londinese di Finsbury Park, un cittadino britannico si è scagliato con un furgone contro alcune persone che sostavano nei pressi del luogo di culto gridando “ucciderò tutti i musulmani“.
L’atto terroristico ha prodotto una vittima e – perché è giusto evidenziare sempre i segni di speranza in mezzo al mare della violenza – l’attentatore è stato sottratto al linciaggio dallo stesso imam, che lo ha protetto fino all’arrivo della polizia. Un aumento dei crimini a sfondo razziale o religioso come reazione ai ripetuti attentati del Daesh che si sono succeduti in Europa era ampiamente prevedibile.
Finsbury Park rappresenta il salto di qualità nella modalità di attacco all’interno di una serie già molto lunga. I numeri li ha forniti pochi giorni fa il sindaco londinese Sadiq Khan, citando dati pubblicati dalla Polizia Metropolitana: dopo il 3 giugno (data dell’attentato di London Bridge), si è passati da 3,5 attacchi di stampo islamofobico al giorno a una media di 20.
È risaputo che violenza chiama violenza. Quindi, una tale reazione era purtroppo da mettere in conto. Ciò che risulta difficile da accettare è il fatto che l’impennata delle violenze razziali o a sfondo religioso sia il prodotto di una campagna d’odio condotta senza scrupoli in tutta Europa da forze politiche interessate esclusivamente a raccogliere consenso e non a esprimere in modo responsabile un’idea di società. Una campagna condotta anche con l’ausilio di mass media che, abbandonata ogni idea di responsabilità sociale, sono orientati solo all’aumento degli ascolti e delle tirature. E per raggiungere obiettivi di quel tipo, la paura e il qualunquismo sono ottimi veicoli.
Non c’è da stupirsi, quindi, che persone con evidenti fragilità si macchino di crimini del tutto analoghi a quelli di matrice islamista: dall’uccisione di una deputata europeista, Joanne Cox, lo scorso anno in Gran Bretagna, al grido “prima gli inglesi”, fino all’investitore di Finsbury Park. In mezzo, una lunga teoria di episodi di violenza o intolleranza contro musulmani, immigrati, rifugiati: i facili bersagli dati in pasto ad un’opinione pubblica impaurita, fiaccata dalla crisi economica, vittima dell’aumento delle disuguaglianze, ma soprattutto vittima dei messaggi distorti che le arrivano. Informazioni più approfondite dicono infatti che il legame del fenomeno del terrorismo con quello dell’immigrazione è praticamente inesistente.
Da un Rapporto realizzato dall’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) presentato mercoledì a Roma alla presenza del ministro dell’Interno, emerge infatti che il 73% degli attentatori dei fatti di sangue avvenuti dal 2014 ad oggi in Europa erano cittadini del Paese nei quali hanno compiuto le azioni terroristiche. Il 17% si è convertito all’Islam e almeno il 57% aveva un passato di delinquenza e detenzione. Solo il 18% ha alle spalle un’esperienza di combattimento all’estero come foreign fighter. Statisticamente la stragrande maggioranza dei terroristi sono soggetti nati e cresciuti nei nostri Paesi, dice il Rapporto. E, soprattutto, sono una minoranza impercettibile tra quanti in Europa sono musulmani che vivono la propria fede e la propria cultura senza alcun obiettivo di sovversione della società in cui sono più o meno integrati.

Davide Tondani