Don Mazzolari e don Milani hanno amato la Chiesa e il gregge loro affidato

La visita “riparatrice” del Papa a Bozzolo e a Barbiana, alle tombe e ai luoghi dei due sacerdoti 

papa_Mazzolari_BozzoloNella chiesa di S. Pietro in Bozzolo, papa Francesco si è a lungo soffermato in preghiera e meditazione davanti alla tomba di don Primo Mazzolari. Nel saluto al Santo Padre il Vescovo di Cremona ha annunciato l’apertura del processo diocesano per la beatificazione di don Primo. Il papa ha esordito, dopo un simpatico siparietto sulla lunghezza del pezzo, dicendo che quando sono il volto di un clero non clericale, come lo era don Mazzolari, i parroci sono la forza della Chiesa in Italia ed essi danno vita ad un vero e proprio magistero dei parroci. Don Primo è stato definito il parroco d’Italia e S. Giovanni XXIII lo ha salutato come la tromba dello Spirito Santo della bassa padana. Non sempre è stato apprezzato e Paolo VI ha spiegato come ciò derivasse dal suo passo lungo e troppo avanti perché tutti gli potessero tener dietro. È il destino dei profeti! Tre scenari riempivano gli occhi ed il cuore di don Primo: il fiume, la cascina e la pianura. Il fiume è segno del primato della potenza della grazia di Dio che scorre incessantemente verso il mondo. La parola di Dio è la fonte dei riti e della vita. Riti vitali, partecipati dove c’è adesione personale, vita condivisa dove si riceve il dono della verità e dell’amore. Il sacerdote è un ripetitore vivo, non un altoparlante, e deve mostrare che crede in ciò che proclama. Mazzolari amava il proprio tempo, le persone, per questo non rimpiangeva la Chiesa del passato ma proponeva una maggior capacità di incarnazione. Non gli piacevano quelli che si mettono alla finestra della vita e criticano tutto e tutti. Neppure gli erano gradite da una parte le attività con la mentalità divisiva dell’utilitarismo e dall’altra il rifugiarsi in un soprannaturalismo che non tiene conto dell’uomo. La cascina, al tempo di don Primo, era una famiglia di famiglie, era la sua idea di Chiesa. Per essere una Chiesa viva, in cammino, è necessario uscire sia di casa che di chiesa e preoccuparsi anche di quei bisogni che, pur non essendo spirituali, sono tuttavia bisogni umani che possono perdere o salvare l’uomo. Questo è il percorso più lungo ma più sicuro. Don Primo è stato giustamente definito il parroco delle periferie, dei lontani, perché li ha sempre amati e cercati, si è preoccupato non di definire un metodo di apostolato valido per tutti e per sempre ma di proporre il discernimento per interpretare l’animo di ogni uomo. Il percorso di fede deve essere graduale, il prete non esige la perfezione ma aiuta ciascuno a dare il meglio. Si accontenti di ciò che possono dare le popolazioni, abbia del buon senso, “non può massacrare le spalle della povera gente”. La pianura si presenta senza rassicuranti confini, come i problemi che ha dovuto affrontare don Primo: le guerre, i totalitarismi, la fatica della democrazia in gestazione, la miseria della sua gente. I poveri vanno amati per ciò che sono, non devono essere oggetto di proselitismo. Il modo per attrarli sia la testimonianza che si esprime con la carità. Chi ha molta carità vede molti poveri, chi ha poca carità ne vede pochi, chi non ha carità non vede nessuno. Chi conosce il povero conosce il fratello, chi vede il fratello vede Cristo, chi vede Cristo vede la vita e la sua vera poesia perché la carità è la poesia del cielo portata sulla terra.
papa_Milani_BarbianaPoi, papa Francesco si è recato a Barbiana dove, dopo aver pregato sulla tomba di don Lorenzo Milani, ha ricevuto il benvenuto del cardinale di Firenze mons. Giuseppe Betori. Il papa ha detto: “Sono a Barbiana per rendere omaggio alla memoria di un sacerdote che ha testimoniato come, nel dono di sé a Cristo, si incontrano i fratelli nelle loro necessità e li si serve, perché sia difesa la loro dignità di persone con la stessa donazione di sé che Gesù ci ha mostrato fino alla croce”. È importante ridare ai poveri la parola perché senza la parola non c’è dignità e quindi neppure libertà e giustizia. Questo ha insegnato e insegna don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società mediante il lavoro e alla piena appartenenza alla Chiesa con una fede consapevole. Troviamo scritto in “Lettera ad una professoressa”: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio; sortirne tutti insieme è la politica, sortirne da soli è avarizia”. Questo è un appello alla responsabilità che riguarda tutti. La dimensione sacerdotale è la radice di tutto ciò che ha fatto don Milani. Tutto nasce dal suo essere prete, ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito. Come ha detto don Bensi, la sua guida spirituale: “Per salvare l’anima venne da me; da quel giorno di agosto e fino all’autunno si ingozzò di Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l’assoluto senza vie di mezzo; voleva salvarsi e salvare ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante doveva subito ferirsi e ferire”. Don Lorenzo ci insegna a voler bene alla Chiesa, come le volle bene lui. Aveva richiesto al suo vescovo un riconoscimento alla sua fedeltà al Vangelo ed alla rettitudine della sua azione pastorale. In vita non lo ha avuto ma, in seguito, tale riconoscimento è venuto grazie alle parole dell’arcivescovo Piovanelli. Oggi la presenza del Papa a Barbiana e soprattutto le sue parole riconoscono e sottolineano la fedeltà al Vangelo e la rettitudine della azione pastorale di don Lorenzo Milani.

Pierangelo Sordi