
A Massa l’incontro pubblico con il magistrato Piercamillo Davigo
Narra un aneddoto, riportato da Cicerone, che la flotta macedone dopo aver catturato un pirata lo condusse davanti all’imperatore Alessandro Magno perché lo giudicasse. Il grande condottiero chiese al pirata: “Con che diritto infesti i mari?”. E questi, sapendo di non avere molte speranze di restare in vita, rispose: “Con lo stesso tuo diritto, solo che io lo faccio con una nave e sono chiamato pirata, tu lo fai con una flotta e sei chiamato re”. Nel De Civitate Dei, sant’Agostino commenterà così l’episodio: “Bandita la giustizia, che cosa sono i grandi imperi se non bande di briganti che hanno avuto successo? E che cosa sono le bande di briganti, se non imperi in embrione?”. Quello che distingue uno Stato da una banda di criminali è dunque la giustizia. Comincia con questa breve storia l’intervento di Piercamillo Davigo di lunedì scorso, 22 maggio, a Palazzo Ducale a Massa, organizzato dall’Ufficio diocesano di Pastorale Sociale, in collaborazione con la Scuola diocesana di formazione all’impegno socio-politico.
Nella Sala della Resistenza, con le massime autorità civili e militari della provincia, un folto pubblico di uditori. Davigo è presidente della seconda sezione penale presso la Corte di Cassazione, già presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati; era salito alle cronache ai tempi dell’inchiesta su Tangentopoli nella squadra milanese di “Mani pulite” nei primi anni ’90.
L’incontro, moderato da don Luca Franceschini, si è aperto con la testimonianza dell’ex parlamentare Alcide Angeloni, che ha svolto il suo servizio al Senato della Repubblica per due legislature proprio negli anni precedenti alle inchieste giudiziarie che hanno poi travolto un’intera classe politica. Angeloni ha spiegato le motivazioni e gli obiettivi che hanno portato alla creazione di una Scuola diocesana di formazione politica per i giovani: insegnare che la politica è servizio. Col suo intervento, invece, il magistrato ha voluto ribadire alcuni concetti fondamentali della convivenza civile come la giustizia, la legalità, la libertà e il principio della separazione dei poteri.
La distinzione tra legislativo, esecutivo, giudiziario rappresenta un limite fondamentale all’autorità precostituita, a garanzia dei diritti dei cittadini: se lo Stato infatti è l’organizzazione di un popolo su un territorio e il popolo è l’insieme dei cittadini, questi non si contrappongono allo Stato, anzi ne costituiscono un elemento fondamentale: organizzati sul territorio, sono lo Stato. “Viviamo in un paese – ha detto Davigo – dove si sono smarrite le regole del buon senso nella politica e nelle attività umane, dove malaffare, schizofrenia e irrazionalità la fanno da padrone”. Un intervento a tutto campo che ha avuto come base la sua lunga esperienza nelle aule dei tribunali e di come, nel corso della sua carriera, si è trovato spesso di fronte al bivio tra onestà e illegalità.
A distanza di venticinque anni dall’inchiesta su Tangentopoli, dove il reato è diventato sistematico, l’Italia si trova in una situazione di intorpidimento, guidata da una classe politica incapace di affrontare le sfide e che non è ancora riuscita a regolamentare le attività dei partiti, ritenuti fondamentali dalla Costituzione, ma che rappresentano un problema nelle dinamiche attuali. Ma non tutto è perduto. Davigo con la sua ironia e le sue battute sferzanti, ha spronato a continuare a lottare per una moralità e una coscienza nel pubblico, come nel privato, per una cittadinanza attiva in nome di una convivenza pacifica perché ubi societas, ibi ius.
(df)