Europa: tra nuove sfide e scetticismi una grande impresa è nelle nostre mani

Festa del 9 maggio. Ricorda il giorno del 1950 in cui Schuman presentò il piano di cooperazione economica

Robert Schuman con il trattato della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio appena firmato nell’aprile 1951 e scaturito dal suo piano presentato un anno prima. Alla sua destra il ministro degli Esteri italiano Carlo Sforza.
Robert Schuman con il trattato della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio appena firmato nell’aprile 1951 e scaturito dal suo piano presentato un anno prima. Alla sua destra il ministro degli Esteri italiano Carlo Sforza.

Il 9 maggio 1950 è considerata la data di nascita dell’Europa Unita: quel giorno il ministro degli Esteri francese Robert Schuman dichiarò l’avvio di una nuova cooperazione politica per costruire un‘Europa senza guerre. L’avevano capito che non si poteva più continuare sulla strada del passato, si diffondeva la volontà e il coraggio di cambiamenti radicali, la guerra da pochi anni conclusa (in Europa proprio il 9 maggio 1945) era stata una lezione potente, aveva dimostrato a qual punto era arrivata la follia umana. Il 25 marzo 2017 sono stati celebrati i 60 anni dal patto di Roma che costituì l’Europa dei sei, c’erano tutti i più alti rappresentati degli Stati dell’Ue, ora 27 dopo la defezione della Gran Bretagna.
Le feste e le celebrazioni di anniversari rischiano di ridursi a ritualità piene di proclami retorici, se non sono sostenute da idee e proposte forti, convinte e condivise. Prima di parlare bisogna credere. Dalla sua nascita l’Ue ha conosciuto momenti critici, divergenze, inerzia, ma mai come oggi lo scetticismo, il ritorno al nazionalismo, sempre causa di disastri estremi, lusingano irresponsabilmente capipopolo e cittadini dallo sguardo troppo corto. Si sono inventati il vocabolo “sovranismo” che non si sa che programmi e prospettive voglia esprimere.
Ogni epoca storica ha una sua identità, oggi, ci piaccia o no, il mondo è diventato un villaggio globale (processo in realtà avviato dopo lo smantellamento dei grandi imperi coloniali) e i mutamenti sono continui e veloci, bisogna starci dentro, tornare al tempo che fu è impossibile oltre che assurdo e dannoso. Con l’orgoglio di quanto di positivo ha fatto l’Ue (supremo bene i 70 anni di pace fra i suoi cittadini), ora serve investire sul futuro con speranza e convinzione di conservare e incrementare i valori che fondano lo stare insieme: rispetto della dignità delle persone, cooperazione pacifica, libertà, democrazia, uguaglianza, solidarietà tra nazioni e popoli. Credere in questi pilastri della nostra civiltà è richiesto proprio nel momento in cui le sfide sono sempre più grandi e urgenti.
Quando vediamo documenti sugli orrori delle guerre che hanno insanguinato l’Europa bisognerà pure dire grazie all’Ue che ha dato pace e sviluppo a tre generazioni. Non è accettabile che si renda il futuro dell’Europa “ostaggio delle scelte elettorali, di politiche di partito e di ricerca di immediati vantaggi” come ha denunciato Juncher, presidente della Commissione europea in occasione della presentazione di un libro bianco sul futuro Ue nel marzo scorso.
Gli scenari sono tanti e realizzabili, certo le sfide sono difficili e non ci sono in campo statisti di alto livello, comunque il coraggio dentro ciascuno di noi e da chiedere agli altri non è utopia. Il terrorismo, la globalizzazione, le migrazioni massicce, l’impatto delle nuove tecnologie sulla disoccupazione, la spregiudicatezza del capitalismo finanziario sono risolvibili unendo le forze con fedeltà al manifesto di Ventotene: muri, frontiere chiuse, populismi, xenofobia anticamera di razzismo, uscita dall’euro non sono la soluzione.
Ulteriori obiettivi sono raggiungibili lavorando per dare maggiore trasparenza alle istituzioni, per esigere concretezza operativa dai parlamentari europei ben pagati, soprattutto gli italiani, e spesso assenti o scarsi di proposte.
Dopo la moneta unica il passaggio successivo è la costruzione di un’unione politica che, caduta l’opzione federalista, sia capace di mettere in atto una politica estera, culturale e di difesa comuni, protezione del clima e un’adeguata strategia verso il fenomeno epocale dell’immigrazione, che è anche la conseguenza di precedenti errori e ingiustizie dell’Occidente. In vista delle elezioni del Parlamento europeo nel 2019 c’è molto da fare per sgombrare i labirinti della burocrazia, equilibrare le competenze tra Unione e Stati membri, dentro un itinerario chiaro, realistico e condivisibile dalla maggioranza degli europei.
Lo Stato siamo noi, l’Europa siamo noi.

Il rammarico per l’assenza della Gran Bretagna

Una bandiera in meno sventola sui luoghi delle istituzioni europee dopo l’evento doloroso della Brexit, una parola “macedonia” per dire uscita della Gran Bretagna dall’Ue a seguito del referendum popolare del 2016. La decisione presa da una maggioranza ristretta di cittadini britannici è da rispettare ma è piena di conseguenze negative e difficili prima di tutto per il paese anglosassone, che si presenta spaccato tra città e campagna, tra inglesi, scozzesi e irlandesi dentro un Regno meno Unito. Le trattative per il divorzio dall’Europa già alle prime avvisaglie sono alquanto conflittuali, anche sul piano del rapporto personale tra le autorità istituzionali delle due parti. Sono tante le questioni da definire di ordine lavorativo, economico e finanziario, scolastico, di circolazione delle persone e delle merci. La Brexit non arresterà il futuro dell’Europa unita, ne sono consapevoli le maggioranze dei popoli e le istituzioni, nonostante qualche spinta velleitaria di movimenti populisti e nazionalisti. C’è un’Europa che parla alle speranze e non alle paure, che parte dalle appartenenze locali, dalle tradizioni regionali ma ha la radice comune di idee e diritti formatasi nei secoli, di virtù cristiane e laiche che chiamiamo cultura, arte, civiltà europea. Le tante bandiere che sventolano insieme, la meraviglia delle note di Beethoven dell’Inno alla gioia, scelto come inno dell’Ue, vengono da un passato che ha conosciuto tante e reciproche invasioni, aggressioni, occupazioni, ma finalmente francesi, tedeschi, italiani, austriaci e tutti gli altri si stringono la mano e decidono insieme invece di spararsi addosso come succedeva ancora meno di un secolo fa. Tante e in tutti i paesi le iniziative per la Festa dell’Europa: a Milano ha circolato un tram storico coi colori dell’Europa con a bordo bambini e studenti delle scuole superiori, le sedi istituzionali dell’Ue a Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo sono state aperte al grande pubblico per smentire qualcuno che le ha definite un “labirinto impenetrabile ai non iniziati”, anche se uno snellimento “dell’Europa dei burocrati” è necessario, e ancor più nell’amministrazione interna dell’Italia. L’inno ufficiale dell’Ue è basato su una poesia di Schiller messa in musica da Beethoven, chiude la “nona sinfonia”, unica con un coro. Herbert von Karajan ha adattato l’ultimo movimento, l’ha reso un inno in musica senza parole. Il grande musicista tedesco aveva composto le sue note sul testo schilleriano molto innovativo rivolto ai giovani: invitava alla fratellanza universale; l’aveva intitolato “inno alla gioia” che nasce dalla libertà, le stesse appassionate aspirazioni di Beethoven e oggi degli europei.

Maria Luisa Simoncelli