Don Lorenzo Milani. La scuola ha ancora bisogno di educatori attenti agli “ultimi”

A cinquant’anni da “Lettere ad una professoressa”, il suo testamento pedagogico

Don Lorenzo Milani con il primo gruppo dei ragazzi di Barbiana
Don Lorenzo Milani con il primo gruppo dei ragazzi di Barbiana

Parafrasando una canzone di qualche anno fa si potrebbe chiedere, rivolgendosi a una/un giovane insegnante di oggi, chi erano Mario Lodi, il Movimento di Cooperazione educativa, don Lorenzo Milani? Già chi erano? E di quella scuola costruita giorno per giorno, al di là degli orari di servizio… insieme agli studenti e stando dalla parte degli ultimi, che cosa è rimasto negli educatori di oggi?
Probabilmente poco o niente perchè spesso le preoccupazioni stanno altrove e non è il caso di elencarle poichè più volte sono state dette. Eppure don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, a periodi ci costringe a confrontarci con le sue idee, la sua scuola, i suoi ragazzi.

“L’esilio di Barbiana”: la testimoniana di Michele Gesualdi

gesualdi_donMilaniL’importanza della figura di don Milani può essere misurata, in modo indiretto, anche attraverso il gran numero di libri a lui dedicati. È proprio di queste ultime settimane la notizia della pubblicazione – nella collana I Meridiani. Classici dello spirito, Editore Mondadori – dell’opera omnia: due tomi che contengono tutti gli scritti editi e le numerose pagine inedite del sacerdote fiorentino. Ha, però, fatto molto parlare di sé un altro libro uscito alla fine dello scorso anno, in quanto firmato da uno degli allievi più rappresentativi della scuola di Barbiana: Michele Gesualdi. Attuale presidente della Fondazione Don Lorenzo Milani, fu tra i primi ragazzi che il sacerdote riunì accanto a sé nella scuola organizzata nella canonica di quella piccola frazione del comune di Vicchio, sperduta tra i monti del Mugello. “Non è, afferma Andrea Riccardi nella prefazione, solo un libro di ricordi scritto da chi fu un ‘ragazzo’ vicino a don Lorenzo e un testimone privilegiato della sua vicenda, specie negli ultimi anni. La sua condizione partecipe aggiunge qualcosa di profondo e di vivo alla narrazione storica, che è rigorosa e asciutta”. E don Luigi Ciotti, nella postfazione: “…a emergere da queste pagine è un don Milani ben diverso da quello stilizzato – a volte stereotipato – di certi testi”. Un libro che si distingue per fornirci un ritratto “vero” del sacerdote, che mette giustamente in risalto anche gli anni passati a Calenzano, visti come un periodo di apprendistato che fa capire meglio quanto a Barbiana troverà compimento. Con l’aiuto di ricordi e testi in parte inediti, Gesualdi ci regala, quindi, un don Milani liberato dai tanti schemi ideologici che a più riprese sono stati costruiti attorno alla sua figura. Ci conferma il ritratto di un prete certamente fuori dagli schemi, ma innamorato della Chiesa, per la quale era disposto a rinunciare a qualsiasi rivalsa personale, ma che voleva fedele al mandato evangelico dell’amore per gli ultimi.

Sembra destinata a non tramontare mai la figura di questo educatore degli anni Sessanta, sia perchè qualcuno tira fuori qualche nuova interpretazione del suo pensiero, sia per la pubblicazione di un nuovo libro su di lui, sia perchè altri pensano bene di prendere le difese della professoressa della Lettera. Insomma, in un modo o nell’altro don Lorenzo è sempre lì, deciso a non andarsene, quasi a voler dire che nella scuola di oggi c’è ancora bisogno di lui. Sono passati 50 anni dalla sua morte, avvenuta il 23 giugno del 1967; a maggio di quell’anno venne pubblicato “Lettera a una professoressa”.
Un testo che ha fatto discutere e continua ancora oggi a sollevare dibattiti e ad essere oggetto di convegni. Quelli della Scuola di Barbiana erano gli anni della nascente Scuola media unica, degli intellettuali impegnati a fianco dei lavoratori: Luciano Bianciardi e il suo Lavoro culturale, Ottieri, Volponi , gli anni dei fermenti della contestazione studentesca che di lì a poco sfocerà nel Sessantotto. Dunque “Lettera a una professoressa” è, a suo modo, un testo rivoluzionario e inesauribile per chi voglia trovarvi un po’ della scuola di oggi, anche quella dei diritti negati, delle scarse sensibilità, della poca considerazione di chi ha meno. In quella lunga accusa alla scuola di allora si intrecciano, come nelle Lettere di don Lorenzo, paradossi e sferzate profetiche, mentre il filo conduttore sembra essere il binomio appartenenza – parola, cioè la scelta di appartenere ai suoi ragazzi e di dotarli delle parole necessarie per acquistare dignità e autonomia, per muoversi nel mondo a testa alta senza dipendere da chi possiede molte più parole.
“Don Milani – affermava il cardinale Martini – scrive Parola con la ‘P’ maiuscola e in corsivo. In tal modo egli intende porre l’accento sulla necessità che il credente ha di rivolgere una Parola che impegni ed arricchisca, non una parola qualsiasi che non impegna chi la dice e non serve a chi l’ascolta, non una parola come riempitivo del tempo”. Quella lunga “Lettera” di cinquant’anni fa andrebbe forse riletta lassù a Barbiana, nei luoghi dove il Priore faceva scuola ai suoi ragazzi e dove ancora di più le sue parole risuonerebbero devastanti ma nello stesso tempo capaci di aprire orizzonti nuovi e di sollecitare riflessioni sulla sua scuola e sulla sua pedagogia.
Tornare a Barbiana significa dunque tornare a una scuola oggi un po’ dimenticata, ma della quale, più che mai, si avverte ancora il bisogno e la “Lettera” potrebbe costituire la lente con la quale leggere criticamente la scuola di oggi, le sue pratiche, i suoi obiettivi.
Ho tra le mani la mia copia di “Lettera a una professoressa” nella quale avevo scritto Milano 1973, l’anno in cui avevo iniziato a insegnare. Quelli erano i libri con i quali ci si confrontava, che si leggevano spesso insieme ad altri insegnanti, condividendo riflessioni . Allora la tecnologia non aveva ancora invaso la nostra vita e i libri avevano ancora un senso e una funzione, anche quella di sollecitare nuove pratiche didattiche. Molti di noi sono cresciuti nella professione con don Milani e altri educatori di quei mitici, è il caso di dirlo, anni e soprattutto con “Lettera a una professoressa” sulla cattedra. Chissa se quel libro, oggi, riuscirebbe a trovare spazio fra LIM e computer!

Fabrizio Rosi