

Sono ormai rimasti soltanto i contendenti politici a dichiarare di credere fermamente nei sondaggi: quelli che sostengono il ‘no’ per rinforzare l’idea di una vittoria a portata di mano; quelli per il ‘sì’ per spronare gli indecisi e non far perdere d’animo chi la sua decisione l’ha già presa in tal senso. Un fatto giustificato dagli errori clamorosi legati agli ultimi due eventi politici di rilievo internazionale: il referendum sulla Brexit e le elezioni americane. Se a questi aggiungiamo gli svarioni registrati anche in occasione di alcune competizioni elettorali nostrane, una certa prudenza in materia appare l’atteggiamento più razionale. Il tutto si fa ancora più complicato per il fatto che, fin da subito, il referendum sulla riforma della Costituzione si è trasformato in un referendum sulla permanenza o meno di Renzi a Palazzo Chigi. Le colpe, come spesso accade, non sono da addossare tutte a una parte. Il presidente del Consiglio ci ha messo del suo, non curandosi più di tanto – almeno – della compattezza della sua maggioranza e del Pd in particolare; i suoi avversari hanno pensato bene di tralasciare i dettagli giuridici per cogliere al volo la possibilità di una vittoria impensabile fino a poco tempo fa. Tra le tante dichiarazioni ascoltate in questi ultimi mesi, almeno due appaiono a dir poco esagerate. Una è la polemica su “l’uomo solo al comando” da parte di esponenti di centrodestra che hanno fatto di tale principio una ragione di vita, almeno fino a che il loro mito ha retto. L’altra riguarda i tetri orizzonti di una minaccia per la democrazia nel nostro Paese se le nuove norme dovessero andare a regime. Ripulito da queste e da altre esagerazioni, il dibattito avrebbe potuto svolgersi in modo più sereno sui temi in questione. E allora è già tempo – ad alcuni il settimanale potrebbe arrivare a risultati acquisiti – per una riflessione che guardi al “dopo”, partendo da quanto si è visto in questi ultimi giorni. Dovrà pur esserci una ragione se, quasi all’improvviso, il dibattito sulla leadership nel centrodestra è diventato incandescente: se Parisi è stato scaricato con poche parole nemmeno tanto delicate; se Berlusconi ha riscoperto l’antica voglia di sacrificarsi per il Paese; se Bossi ha riconquistato le prime pagine dei quotidiani nazionali; se è ripreso il balletto “primarie sì, primarie no”, con Salvini che giura sulla prima ipotesi e il leader di ciò che resta di Forza Italia il quale precisa che, nel caso decida di scendere in campo, vale la seconda ipotesi. Tutto, cioè, come prima. Per questo il dopo referendum, a maggior ragione se vincerà il ‘no’, si preannuncia di nuovo incentrato sulle diatribe politiche, con buona pace delle più o meno – a seconda dei punti di vista – indispensabili riforme finalizzate al ringiovanimento delle istituzioni.
Antonio Ricci