
Si celebra venerdì 25 novembre la Giornata di contrasto alla violenza sulle donne

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne fu istituita alla fine del 1999 dall’Onu che ne collocò la data nella giornata del 25 novembre, non scegliendo a caso, ma aderendo alla scelta fatta una ventina di anni prima dall’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, per ricordare il brutale assassinio, per mano di militari dell’esercito dominicano, di tre donne vittime del regime totalitario di Trujillo. In Italia si è iniziato a celebrare la giornata una decina di anni fa con una crescita continua di risonanza presso l’opinione pubblica e sui mezzi di informazione. Di iniziative che focalizzino l’attenzione sulle diverse forme di violenza cui sono sottoposte le donne in tutti i Paesi del mondo, in realtà, ci sarebbe bisogno non solo un giorno all’anno, ma tutti i giorni, perché quotidiano è lo stillicidio di notizie di questo tipo. Il tutto aggravato dal fatto che, molto spesso, di tanti soprusi o maltrattamenti non si ha notizia semplicemente perché non vengono denunciati dalle vittime. È difficile capire i meccanismi che stanno alla base di certi fatti che si penserebbero legati a società o a periodi storici ben lontani da noi, quando la pressoché totale dipendenza – sociale, economica, culturale – delle donne portava queste ad accettare condizioni di sottomissione per mancanza di alternative praticabili. Oggi non è più così. Si può disquisire sul livello di parità tra uomo e donna sul posto di lavoro, in politica, nella scelta della vita da condurre, ma è fuori di discussione il fatto che l’emancipazione economica e culturale delle donne – almeno nelle società occidentali – abbia raggiunto livelli che, in teoria, dovrebbero metterle al sicuro da situazioni di sopruso. Un po’ in ogni Paese sono state approvate leggi di tutela e sono state aggravate le pene, inserendo anche l’obbligo di procedere di uffìcio contro certi reati. Questo non è servito, se non in percentuali minime, come deterrente per chi pensa alla donna come ad un oggetto di cui si può disporre secondo la propria volontà e, d’altronde, può essere d’aiuto solo se le donne riescono a vincere la “vergogna” della violenza subita, denunciano i soprusi e fuggono lontano dai violenti. Scelte non facili perché spesso il sentimento porta a contraddire quanto suggerisce la ragione: all’inizio c’è la speranza di un ravvedimento, poi subentra la vergogna per non essere state capaci di sottrarsi alla violenza. Anche perché questa non è sempre né soltanto fisica e a volte può apparire difficile da definire. I Centri di aiuto offerti da enti pubblici o da associazioni di volontariato stanno facendo molto per superare questo stato di cose, ma tanto resta da fare. Se la violenza alle donne più diffusa è quella che viene praticata in ambito familiare, a fare “scandalo” è, però, anche quella perpetrata da estranei, che più spesso dell’altra giunge alle cronache e subisce denuncia. A parte la discutibile definizione di “femminicidio”, è fuori di discussione che certi tipi di delitti siano anch’essi legati alla difficoltà di rapporti tra uomini e donne. Pur stando attenti a non lanciare accuse generalizzate, è certo che a monte delle sopraffazioni o, addirittura, delle uccisioni c’è una visione distorta della donna, dalla quale l’uomo fa fatica ad accettare un rifiuto che è segno di indipendenza, di pari dignità. Come sempre quando si parla di deviazioni sociali, allora, più che alle leggi e alle pene – pur necessarie e indispensabili – si deve pensare ad un’opera di educazione che punti alla rimozione di ogni pregiudizio sul ruolo e sulla dignità delle due metà del mondo.
Antonio Ricci